Claudio Cerasa, direttore de "Il Foglio", dimostra sempre una grande lucidità e sappiamo quanto ragionare serva in questa nostra vita quotidiana, in cui siamo concentrati sull'epidemia e invece dobbiamo tenerci svegli nell'analisi su quanto avviene.
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Piango la morte di Cesare Quey, farmacista del mio paese, Verrès.
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Leggo "Le Monde" - giornale che resta un caposaldo dell'informazione - e mi vengono i brividi nella breve presentazione di un articolo, che è in realtà una lettera, firmata prevalentemente da medici, ad un'anziana paziente colpita e uccisa dal "covid-19".
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Mi piace molto questo "Appel à une gouvernance démocratique de la crise sanitaire", firmato da scienziati ed intellettuali francesi.
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Le parole contano e non a caso molto spesso ne cerco le origini e ne commento l'uso.
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Ho passato anni a fare esercizio sulla tecnica legislativa nella Commissione Affari Costituzionali della Camera, periodo irripetibile che mi ha fatto passare da giovanotto ad adulto, sempre all'ascolto di persone di tutti gli schieramenti da cui avevo molto da imparare.
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Non è nemmeno più un problema politico ma antropologico.
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Sono alcuni anni che prendo sul serio il Calendario dell'Avvento, che si è affiancato all'albero (fatto) ed al presepe (fatto).
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A chi scrivere, dopo averlo già fatto - sul filo dell'ironia e senza domandare doni - con il caro Babbo Natale? Mah, si potrebbe scrivere, come facevo da piccolo, a Gesù Bambino, quanto ormai avviene in maniera del tutto rara.
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E' interessante come gli ultimi avvenimenti politici in Valle d'Aosta abbiano acceso una forte flambée autonomista nelle persone più varie.
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