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29 set 2025

L’attesa

di Luciano Caveri

Pubblicare pubblico. Anche se oggi - con lo scrutinio per le elezioni regionali, cui competo personalmente - la mente è occupata altrove e subentrerà qui il commento a risultato acquisito.

Ci fosse il voto elettronico, allora basterebbe un clic, mentre tutto resta in Italia e purtroppo anche in Valle d’Aosta molto artigianale con commissioni, urne e soprattutto le schede elettorali e la matita copiativa come agli albori del voto.

L’affluenza dei dati somiglia ad un fiume che da placido diventa irruente e alla fine sbocca nel mare dei risultati finali. Capisco che, con quella di oggi, è la decima volta che vivo lo stato d’animo del candidato. Mi è capitato quattro volte per la Camera dei deputati, tre per le elezioni regionali valdostane, due per le elezioni europee. Tutte vincenti, tranne una delle europee.

Per questa volta si vedrà in queste ore e, malgrado la pellaccia dura, trovarsi in attesa del responso delle urne è uno stato d’animo che dovrebbe essere indagato dagli psicologi. Anzi, da un etnologo. Ricordo il bel libro “Un ethnologue à l’Assemblée” di Marc Abélès, che descriveva i deputati dell’Assemblée Nationale francese con gli stessi strumenti che si possono applicare ad una tribù dell’Amazzonia.

La tribù della politica ha usi, costumi, riti, abitudini in epoca di elezioni che sono davvero singolari e ci vorrebbe uno studioso con acume per scrivere di queste specificità.

Le Regionali valdostane sono interessanti, sia per le centinaia di candidati i più vari, sia per il sistema che vede una battaglia fra liste e poi, all’interno di esse, una battaglia più domestica per le preferenze fra candidati che corrono sotto lo stesso simbolo.

Esistono passaggi che andrebbero indagati, come la scelta dei candidati e l’approccio per convincerli, la fenomenologia legata al materiale elettorale come la scrittura del programma e il rito della fotografia dei candidati. Vi è poi tutta una mitologia legata ai comizi, con l’interazione fra candidato e partecipanti, agli aspetti emotivi del parlare in pubblico e altre cose di questo genere.

Come si fa a non scrivere dell’attesa?

Attesa è una bella parola.

Viene dal latino attendĕre e cioè ‘rivolgere l’attenzione’, da tendĕre ‘tendere’.

Già si sta lì, come fanno molti animali, in una situazione vigile, venata anche da una qualche ansia ad esempio per capire cosa significhi il significato calo nella partecipazione al voto già ufficiale.

Ma la sincerità dei dati, trasformati in numero di eletti e nei seggi ad personam, sarà il tema della giornata.