Come capita sempre in ogni elezione, mi ritrovo ad ascoltare discorsi del genere: basta con i professionisti della politica, tocca alla società civile.
Ora a parte la storia della società civile, che presupporrebbe purtroppo nel gioco del contrario l’esistenza di una ”società incivile”, vorrei tentare una spiegazione sul tema.
Sono nella politica elettiva da molti anni, esattamente dal 1987, cui - rispetto ad oggi - vanno sottratti sette anni in cui sono rientrato alla RAI, mio lavoro d’origine, anche se in quel periodo sabbatico non ho mai smesso di interessarmi alla politica.
Comunque sia, sono politico da molti anni, acquisendo - non mi dilungo perché la mia biografia è rinvenibile - esperienze di vario genere, che significano anche studio e formazione.
Chi banalizza certi percorsi, con frasi tipo ”non si vogliono staccare dalla poltrona”, oltre ad essere un qualunquista, forse dovrebbe capire che chi fa politica deve conoscere questo lavoro e farlo al meglio. L’idea che chiunque sia adatto a farlo - solo perché un neofita sarebbe meglio di un esperto - lascia stupiti.
Meglio un avvocato esperto o un praticante? Un chirurgo di fama o uno che ne sa meno? Gli editoriali di un giornale li firma un giornalista di esperienza o un cronista sportivo?
Certo la logica è che chi ha certi ruoli ha il dovere di lasciare quando perde colpi, accettare responsi delle urne negativi perché può avvenire e soprattutto dovrebbe trasferire le proprie competenze ai nuovi arrivati senza ostacolarti per paura di essere sostituiti.
Ricordo la campagna di rottamazione di Matteo Renzi, che voleva far fuori i ”vecchi”. Campagna piuttosto greve, che non gli ha giovato, perché solo propagandistica pro domo sua. Da rottamatore è stato rottamato in fretta e oggi che ha 50 anni, dopo vent’anni dalle prime elezioni, non penso proprio che si autoapplicherà la rottamazione.
Contro la casta è nato, fiorito e sfiorito il fenomeno 5 Stelle, all’ombra di quel Grillo finito per essere mandato a casa da quel Conte che appare più di altri come una specie di sfaccendato che la fortuna ha baciato facendolo ascendere a livelli in cui si manifesta la sua incompetenza. E l’ascesa ha coinciso con il liberi tutti per l’apparato politico del Movimento, che non prevedeva professionisti della politica e ora lo sono tutti. Segno che il deprecabile “uno vale uno”, che ha sdoganato incapaci di vario genere, alla fine è stato messo del cassetto da chi ne ha fatto la propria fortuna.
Fantastica anche la piddina Schlein, che doveva portare il nuovo per far pulizia nel partito contro l’apparato sclerotizzato. Peccato che a sceglierla sia stato il mio vecchio amico Enrico Franceschini, democristiano di sicuro stampo, che ha inventato il nuovo, ma è sempre lì. Guardate i programmi del Festival dell’Unità e si vedrà che la star è Pier Luigi Bersani, che definire di lungo corso è persino limitativo. Salvini - tanto per dire del nuovismo - è diventato consigliere comunale nel 1993 - e la Meloni è stata eletta in Provincia nel 1998.
Questo dimostra che in politica ci si entra (e per altro ci si esce se gli elettori non ti votano) e esiste un cursus honorum che certo deve avere un punto di partenza, un suo svolgimento e anche un punto di arrivo. Ma l’idea di immaginare ghigliottine e trappole per far scomparire eletti di esperienza è davvero riduttiva.
Fa poi sorridere che si possa essere eletti infinitamente in Parlamento e ci siano limiti di mandato fissati dalle Assemblee regionali. O le regole - giuste o sbagliate che siano - valgono per tutti oppure di che cosa parliamo?
Intanto mi godo il silenzio elettorale. Una specie di occhio del tornado e cioè quella zona di bassa pressione, spesso con venti leggeri o assenti e, talvolta, anche cieli sereni, al lato del quale si trovano i venti più violenti e distruttivi del tifone.