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21 giu 2025

Solstizio d’estate

di Luciano Caveri

Oggi è estate. Anche se normalmente mi sveglio presto, l’attimo fuggente del solstizio 2025 me lo sono perso, perché era fissato per le 4:42.

Mi sento, comunque, come Rimbaud: ”Ho abbracciato l’alba d’estate”.

Faccio sempre ridere, quando mi lamento che inizia l’estate e si accorciano piano piano le giornate: vorrei essere risarcito, perché mi pare un inganno.

L’estate non è una stagione per adulti. Credo che si debba cominciare a dire. La vera estate è quella di bambini e ragazzi, non so ancora dire se sia anche quella dei pensionati. Infatti, pur essendo di fatto pensionato (parola orribile perché sembra da sola indicare la fine della strada), lavoro e dunque la condizione estiva ipotetica mi è ancora preclusa.

Perché la verità è che l’estate ha due cappelli. Il primo è fatto di viaggi, villeggiature, compagnie, schiamazzi e ognuno può aggiungere all’elenco quanto contenuto nello zaino della propria vita. Il secondo è quello di lunghe giornate, pure fatte di noia, di eccesso di folla, di parenti che non ti scegli a differenza degli amici.

Per anni, da neonato alle soglie di adulto, ho avuto un copione ripetitivo. Tranne un poco di montagna, la storia era lasciare con armi e bagagli la Valle d’Aosta e spostarsi nel luogo natio della mamma, destinazione Imperia. Quelle sono le estati, che era una vita alternativa, fatta di tutto quello che la vita a pochi passi dal mare garantisce.

Essendo la famiglia Caveri ormai radicata nelle montagne, non si può negare che ci fosse un prima. Il mio bisnonno Paolo (valdostanizzato Paul) arrivò a fare il Sottoprefetto di Aosta nel 1863. Veniva in un misto fra il borgo natio Moneglia e la città di Genova.

Lui e suo figlio René, anch’esso prefetto di carriera, si sposarono con famiglie radicate in Valle. Tuttavia, qualcosa di mediterraneo, compresa la carnagione, mi è rimasto, fra mamma e gli avi paterni.

Torno raramente ad Imperia, che è un curioso microcosmo, come lo è la Liguria, che è sospesa in un lembo di terra fra il mare e le montagne, che siano Alpi o Appennini, secondo le zone. E lo faccio in un misto di scelta e di dispiacere. Mi spiego meglio: si sono accumulati, benché apparentemente dormienti, ricordi meravigliosi e esperienze impagabili vigili nella memoria.

Così non c’è nulla di più triste di tornare senza ritrovarli e accorgersi, com’è normale che sia, che persone e luoghi sono cambiati ed è come rendere opachi i ricordi. Sarò strano, ma la penso così.

Lo diceva bene Cesare Pavese: ”In quelle estati che hanno ormai nel ricordo un colore unico, sonnecchiano istanti che una sensazione o una parola riaccendono improvvisi, e subito comincia lo smarrimento della distanza, l’incredulità di ritrovare tanta gioia in un tempo scomparso e quasi abolito”.

Oggi la vacanza non è più quell’estate senza fine dei tempi della scuola, è una specie di appiglio che, in ordine sparso, copre tutte le stagioni, come pause necessarie per non farsi travolgere.

Non sono più lunghi periodi, ma assomigliano a fughe. Sono pezzi messi sul calendario, che assomigliano, contro l’usura della quotidianità, ad una specie di orizzonte da raggiungere. Un’oasi, come diceva una pubblicità della mia infanzia di un noto amaro a base di carciofo, “contro il logorio della vita moderna”. Definizione perfetta, che rievoca le pubblicità di un tempo, scritte da persone colte, persino intellettuali, mentre oggi tutto appare come una specie di attentato all’uso corretto della lingua.

Ma l’estate resta con tutto il suo calore e non è non solo per la temperatura. Si apre la stagione e la sensazione è che un pochino di svago in più ci sia davvero.

Mi vien da sorridere a pensare ad un sottile masochismo che sottende la politica valdostana, che – per la seconda volta – fa partire una campagna elettorale, quella delle regionali, nel cuore di Agosto. Una vera e propria follia, dovuta a elementi di casualità, ma che rende questa estate un po’ sbilenca, direi dadaista.