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19 dic 2015

Renzi, la Leopolda e i partiti in crisi

di Luciano Caveri

Da tempo mi domando che fine faranno i partiti politici. Leggo con avidità tutto quel che si scrive - libri e editoriali - e trovo che sulla diagnosi vadano tutti forte, ma - quando è il momento di indicare che cosa verrà dopo - le teorie mi convincono poco per la loro vaghezza. E trovo che l'attesa dell'evoluzione naturale sia scarsamente consolatoria e nel frattempo il rischio è che la democrazia si deteriori in un contesto già di difficoltà generalizzate in cui restare ottimisti è un bello sforzo. Ho conosciuto bene i partiti e ci sono stato dentro: il caso dell'Union Valdôtaine è esemplare di come un partito pluralista, con diverse anime, pure contrapposte com'è giusto che sia in un partito di raccolta che ha come priorità una politica territoriale e identitaria, possa scivolare in una leadership assolutista che asfalta tutto e tutti in un disegno di potere personale, basato ormai più sulle paure che sulle idee.

Mi pare per altro di ripeterlo senza molto scalfire, malgrado il baratro in cui è precipitata la Valle d'Aosta. Ho contribuito alla nascita di un soggetto politico alternativo, l'Union Valdôtaine Progressiste, che sconta i problemi di tutte le forze politiche, poste di fronte a partecipazione ondivaga tra periodi elettorali vivaci e ordinarietà sottotono e a meccanismi disegnati dagli Statuti interni che non corrispondono più alla rapidità di decisione imposta dei tempi attuali e non è facile salvare capra e cavoli, cercando soluzioni originali fra il "solido" dei vecchi partiti ed il "liquido" di quelli nuovi (per analogia con la "società liquida" sviluppata da Zygmunt Bauman). Questa crisi dei partiti e del loro ruolo è un tema che ho vissuto anche come spettatore nel lungo periodo di vita parlamentare con la fine della partitocrazia italiana, così come sviluppatasi nel dopoguerra e ho assistito ai tentativi di dare vita a nuovi soggetti politici sempre più connotati da personalità carismatiche, di cui Silvio Berlusconi è stato esempio, anche se ormai la sua presenza appare come un cupo epilogo. Sulle sue tracce è apparso nel Partito Democratico Matteo Renzi, che ha piegato il partito ad una egemonia sua e di una classe dirigente fiduciaria e pure di evidente connotazione municipale e regionale, Firenze e la Toscana (toscani che pure, come noto, si sono sbudellati per secoli in odi feroci fra Comuni). Questa esperienza, che ho seguito con curiosità e senza pregiudizi, ha usato la chiave del nuovismo, della comunicazione digitale, dell'effetto "annuncio" e di politiche di riforma e di Governo a colpi di fiducia, prefigurando un modello di premiership già sognato da Bettino Craxi e poi dallo stesso Berlusconi. Con la riforma costituzionale e con quella elettorale l'Italia sarà nelle mani di una sola persona e certo questo potrebbe avvenire - che sia Renzi o un altro - con meccanismi di voto, ma questo non è comunque consolatorio per chi - convinto federalista - ricorda come senza reale equilibrio di poteri ci possono essere brutte sorprese e poi risulterà inutile piangere sul latte versato. A me quel che stupisce già oggi è dire una cosa e il suo contrario a distanza di pochi giorni. La crisi dei partiti, i cui sbocchi sono per ora - come dicevo - oggetto di discussioni più o meno dotte, ha raggiunto il suo culmine in queste ore con l'ennesima riproposizione della "Leopolda", la riunione di fedelissimi e supporter di Matteo Renzi, iniziata nel 2010 e giunta alla sesta edizione. Il paradosso sta nel fatto che Renzi, pur Presidente del Consiglio e Segretario del PD, continui ad "esternalizzare" la sua politica attraverso un suo movimento politico e d'opinione per ora senza insegna di partito, compreso il suo, ed il paradosso è evidente, malgrado certe rassicurazioni di maniera che paiono riempire la pancia dei dissidenti interni, minacciosi ma inoffensivi. L'unica spiegazione è che Renzi voglia davvero fondare il famoso "Partito della Nazione", definizione che fa venire i brividi per l'uso e l'abuso che in Italia è stato fatto della parola "Nazione", ma in realtà andrebbe chiamato - e magari ci azzecco - il "Partito di Renzi", punto e basta e immagino che potrebbe esserci un sottotipo ruvido del genere "chi c'è c'è", magari con l'hashtag #renziforever. Leggere le cronache della grande kermesse, con nomi di presenti e assenti, a seconda del personale apprezzamento del Capo, offre uno spaccato interessante di un "Renzi prima" - quando saliva gli scalini per arrivare in cima - e del "Renzi dopo", ormai arrivato al vertice e nella speranza di mantenere il potere e di ampliarlo. Gode oggi di una situazione particolare, in cui non usa solo l'argomento della sua capacità presunta di problem solver, ma agita lo spauracchio di competitori che gli fanno dire «Après moi le déluge». Chi ci capisce è bravo.