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19 dic 2015

L'elogio della normalità

di Luciano Caveri

Fare mente locale su quanto nella nostra vita sia diventato, ormai, un "vuoto a perdere" e che cosa sia rimasto, invece, in fondo al setaccio delle proprie esperienze è un esercizio salutare. Par di capire che la logica personale valga anche per la grande costruzione del Giubileo che, spogliato da rituali e orpelli, sembra invitare ciascuno di noi a fare quello che - con un termine mutuato dall'incombente informatica - non è altro che un "reset". In questo solco, l'elogio delle "piccole cose" sembra scelta meschinella e invece non lo è affatto. Rivendico l'importanza di poterlo fare con convinzione contro ogni pregiudizio. Chi è cresciuto in certi anni, qualche illusione sui massimi sistemi - ce n'erano una certa varietà a disposizione - se l'era pure fatta nella speranza di "cambiare il mondo". Anche se non sono del tutto disilluso, perché il federalismo non ha creato né lager né gulag, in generale il tempo non è stato purtroppo molto galantuomo, almeno a vedere questo inizio di millennio, che sembrava destinato ad essere rose e fiori.

Ed invece in questi giorni di bilancio del 2015 - che se ne va senza troppi rimpianti - riguardare all'insieme degli avvenimenti e le tendenze in atto non rende molto allegri, anzi odio e violenza sembrano un giacimento inesauribile. Tuttavia, non resta che rifarsi alla frase con cui termina il "Candide" di Voltaire, «Il faut cultiver notre jardin», che - sospettoso di utopie e di metafisica (ce l'ha con Leibniz e il suo ottimismo) - spinge il filosofo al realismo e alla concretezza per ottenere gioia e benessere, sapendo che non bisogna dipingere di rosa il mondo, quando il male nelle sue molte vesti purtroppo esiste. Questo elogio della normalità contro un mondo perfetto inesistente è una chiave di lettura che mi ha sempre convinto, anche se poi nello stesso libro ci sono altri "jardin" che, per fare un esempio, rappresentano la cultura come elemento essenziale cui abbeverare il proprio spirito. Con il tempo, anche se penso di averlo sempre fatto, questa questione di un proprio giardino, fatto anche delle piccole cose che possono illuminare la nostra quotidianità, mi piace molto. Ci pensavo ieri, in uno di quei momenti di straniamento che ti fanno vedere le cose che vivi come dall'alto. In mezzo alla festicciola di compleanno del piccolo Alexis, simile a quelle dei suoi fratelli di tanti anni fa. Uguali in fondo a quelle mie, perché i dati di fondo sono rimasti gli stessi nell'allegria di un momento festoso. Confesso di essere stato - ed ogni occasione era buona - organizzatore di feste formidabili specie negli anni della giovinezza, quando si usciva nell'organizzazione dalla guardiania dei genitori e vi era una vera e propria escalation. Ho memoria, perché venni poi beccato dai miei su segnalazione fiscale dei vicini, una festa nell'appartamento al mare, ad Imperia, in cui nulla mancava: luci colorate e pure stroboscopiche, mixer con piatti per la musica con amplificazione comme il faut, mobili stipati in una stanza, buffet di schifezze e bevande di tutti i generi dopo colletta fra i festanti. Memorabile, come la punizione. Parenti stretti di queste gozzoviglie sono sempre state l'evidente specialità valdostana dei barbecue-scampagnata all'aperto che, se opportunamente organizzati, finiscono dritti filati nelle cose da non dimenticare. Piccole cose: un viaggio, un gesto, un regalo, un sorriso, un luogo, un libro, una canzone, un bacio, una nascita, un ricordo... L'elenco ognuno ce l'ha nel suo cuore.