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01 nov 2018

Come cambiano gli Alpini

di Luciano Caveri

Non ho fatto il militare. Quando andai da diciottenne al Distretto di Torino per la visita, mi ero appena spaccato malamente un ginocchio sciando. Entrai in una lunga e complessa serie di visite successive a quella da "coscritto", in cui eravamo una marea di giovani, alcuni dei quali ti domandavi da dove diavolo spuntassero. La mia questione alla fine si risolse per via di un'artroscopia su legamenti e menischi fatta da un luminare, che mi valse di essere dapprima "rivedibile", per poi essere esonerato dalla Leva. Confesso che la frequentazione dell'Ospedale militare fu esperienza piuttosto impressionante in un misto di incredibili casi umani e di furbetti che volevano evitare la "naja" con ogni mezzo. Pur non avendo dunque "servito la Patria" in divisa, ho tanti amici e conoscenti che hanno vissuto l'esperienza con diversi stati d'animo ed una ricca aneddotica.

Da politico, invece, mi occupai di molti casi singoli (specie di ragazzi valdostani spediti chissà dove) e più in generale seguii le vicende delle Truppe alpine con diverse iniziative parlamentari a tutela di questa parte dell'Esercito così specializzata e legata profondamente alla nostra Valle sin dai suoi esordi. Ma non sempre gli Alpini hanno avuto chi li sostenesse fra gli alti gradi, poi gli scenari di guerra - quasi sempre in montagna - li hanno resi indispensabili, così come ha pesato la grande valutazione dei colleghi delle altre Forze armate di tutto il mondo, molti dei quali venivano ad Aosta per completare la loro formazione. Ci pensavo ieri, raccontando per Radio - in una cerimonia ufficiale - l'epopea drammatica degli Alpini valdostani nella Prima Guerra mondiale in particolare con il "Battaglione Aosta", l'unico a fregiarsi di "Medaglia d'oro al valore", e della "Scuola militare alpina", che per invidia e stupidità divenne "Centro addestramento alpino", perdendo la denominazione che le spettava di fatto di "Scuola". Ma bisogna essere oggettivi, nel riflettere sull'impatto locale di oggi e di domani, degli Alpini quando c'era ancora la leva obbligatoria e poi con la scelta del professionismo e la fine della "naja". Ricorderete gli avvenimenti: l'Italia abolì il 29 luglio 2004 la Leva obbligatoria. L'ultimo giorno di "naja" fu il 30 giugno 2005. Il servizio militare di Leva in Italia (detto anche, più formalmente, "coscrizione obbligatoria di una classe", popolarmente "naja") indicava, in Italia, il servizio militare obbligatorio. Istituito nello stato unitario italiano con la nascita del Regno d'Italia e confermato con la nascita della Repubblica italiana - si legge su "Wikipedia" - è stato in regime operativo dal 1861 al 2004, per 144 anni. Questo cambiò una delle vocazioni della città di Aosta, fucina di soldati e di ufficiali, che animavano la nostra Capitale regionale con la loro massiccia presenza ben visibile con le cerimonie di giuramento. Ne ho incontrati tanti nella mia vita che ricordavano, quasi sempre con nostalgia, quei mesi passati in Valle. Ma anche per i valdostani la Leva aveva un significato su cui vorrei riflettere, come mi è capitato ieri. Si sa che con l'esercito professionale i valdostani, che diventavano in passato prevalentemente Alpini, non scelgono la carriera militare e gli ultimi di Leva a portare la "penna nera" sono stati alcuni della classe del 1986. Questo significa che la rete capillare delle sezioni degli Alpini, che è componente essenziale delle forze del volontariato e fra le più attive in quasi tutti i Comuni, è destinata sul lungo periodo a perdere di elementi sino al suo naturale esaurimento. Appare al momento impensabile, se non in malaugurati scenari di guerra, il ritorno alla Leva obbligatoria, specie - come qualcuno ipotizzava, compresa l'"Associazione nazionale Alpini" - su periodi brevi incompatibili con la scelta professionale avvenuta a suo tempo nel solco di quanto avvenuto in tutte le democrazie occidentali (sappiamo la peculiarità del sistema popolare svizzero, frutto del federalismo!). Ragion per cui sul volontariato futuro bisogna riflettere con forme, per ora presenti solo in alcune località, di coinvolgimento sin da giovani dei cittadini per avere un sistema di partecipazione e presidio civile indispensabile per gli svariati compiti di "Protezione civile" e di presenza sul territorio e nella società.