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29 ott 2018

Una voce dall'Appennino terremotato

di Luciano Caveri

Leggo ogni giorno su "La Repubblica" la singolare rubrica di lettere curata da Concita De Gregorio, intitolata “Invece Concita - Il luogo delle vostre storie”. C'è di tutto, come in altre rubriche aperte ai lettori e spesso emerge una straordinaria umanità. Meno brillante pare, come altrove, la comunità di commentatori, anch'essi lettori, creatasi a piè di pagina, dove - accanto ad utili osservazioni - si annidano, come avviene nella logica "social", polemisti su qualunque tema che inquinano il dibattito e imbrattano qualunque cosa. Da noi, in Valle d'Aosta, questa storia delle lettere non regge molto. Ho notato che su "La Stampa", pagine di Aosta, è cessato il ritmo quotidiano, trasformatosi in settimanale. Immagino che sia la scarsità di lettere a non consentirlo o forse si è voluto evitare il rischio che fossero i "soliti noti" a scrivere. Ma questa era solo una digressione. Volevo parlare di una lettera a Concita di una donna, Stella Caporioni, che si occupa del terremoto colpi l'Appennino ed in particolare le zone di montagna interessate a suo tempo.

Scrive: «Due anni fa parte dell'Italia centrale è stata devastata da un violento terremoto. Oltre Amatrice e Norcia, di cui già si parla meno, decine di piccoli paesi sono stati distrutti e ci sono centinaia di sfollati, intere comunità sono state spostate in luoghi sicuri, ma separate, spaesate, private delle consuete occupazioni. In un piccolo paese delle Marche, Ussita, condividevo con i miei fratelli, come non residenti, una grande casa di famiglia». Ma la realtà è che nessuno in quei luoghi ci va più e si nel suo caso si riferisce ad un caso in cui almeno - non è così dappertutto - una parte di ricostruzione è avvenuta, visto che abitanti di paesi terremotati vivono ancora negli alberghi sulla costa. Osserva ancora la Caporioni: «Gli abitanti sono tornati. Le persone però sono provate, fragili e come possono vivere senza i non residenti, senza il turismo? Ho rilevato depressione, ansia, poca speranza per il futuro, i più giovani cominciano a pensare di lasciare il paese. Hanno vissuto mesi sentendo la terra tremare, alcuni hanno perso tutto, non vedono iniziare la ricostruzione, si sentono soli, dimenticati. Si vogliono far spopolare completamente gli antichi paesi dell'Italia centrale? Cosa sarebbe l'Italia centrale senza i suoi borghi, le sue torri, la sua storia?». Notate il garbo inusuale, che esprime con civiltà un problema concreto: malgrado tutti i politici di ogni schieramento siano stati sui luoghi, sin da subito dopo il sisma, a dire che lo Stato avrebbe fatto la sua parte, oggi possiamo dire con mestizia quanto sia mancato un progetto vero. Speravo anch'io, che un pochino conosco la realtà di spopolamento e di difficoltà di gran parte di quelle montagne, che si sarebbe profittato del dramma del terremoto per riflettere su come ridare vita a quella zona appenninica. Leggevo nei primi momenti di grandi idee e proposte, ma sono rimaste "lettera morta" ed oggi la morte civile di molti Comuni e frazioni sembra essere accelerata. Ciò in barba alla grancassa di chi sulla montagna italiana fa solo propaganda su di un futuro roseo per le "Terre Alte" fra un comunicato stampa ed un convegno, mentre i montanari delle zone terremotate soffrono e non vedono una prospettiva in cui credere.