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04 dic 2015

Bruxelles nel cuore

di Luciano Caveri

L'antieuropeismo fa dell'integrazione europea una sorta di barzelletta nel solco di quell'antipolitica che è una malattia infantile della democrazia, dando spazio a chi usa slogan rozzi e volgari nella semplice ma efficace logica della demagogia e del populismo per arraffare voti. Usare gli intestini ed il frutto della loro evacuazione è più facile che far funzionare il cervello. Intendiamoci: mille volte ho scritto e detto che non sono difensore d'ufficio di questa Europa, perché un autonomista e federalista valdostano avrebbe voluto una costruzione diversa da quella attuale, ma le critiche e le speranze di cambiamento sono diverse da certe baggianate o semplificazioni, che non offrono scenari alternativi, ma sono solo uno sparacchiare nel mucchio senza costrutto.

Ma oggi vorrei parlare di un luogo che amo, anche se non è una città che abbia chissà quali acuti, ma la sua caratteristica più forte è apprezzabile sta anzitutto in questa sorta di forza tranquilla che la segna in positivo. Bruxelles venne scelta come Capitale europea per la sua situazione geografica, piuttosto equilibrata rispetto ai Paesi fondatori poco meno di sessant'anni fa, quando tra l'altro il clima era ben più grigio e piovoso di oggi, in cui i cambiamenti climatici hanno moltiplicato giornate dal cielo azzurro e temperature più miti. La sua duplice personalità è evidente. Da una parte Capitale del Belgio, un Paese in realtà diviso a metà fra fiamminghi e valloni che stanno assieme con un federalismo innovativo ma forse non sufficiente per restare assieme in futuro. Una città che - lo si capisce con l'attuale contagio del terrorismo - che è cresciuta anche con l'eredità pesante del colonialismo in Africa, ma va detto per evitare equivoci, rispetto al caso francese, che la grande comunità islamica oggi presente in certi quartieri, come "Molenbeek", non c'entra con il vecchio Impero coloniale belga, ma è la forza lavoro di immigrati, specie dal Marocco e dalla Turchia, che sostituirono l'importante emigrazione italiana. Dall'altra Bruxelles è simbolo cosmopolita dell'Unione europea. Ricordo le discussioni proprio a Bruxelles, nel Parlamento di "Bruxelles-Capitale", quando ci si rendeva conto che le origini degli eletti - di provenienza di tante immigrazioni stratificatesi nel tempo - non consentivano di entrare dentro la gabbia fiamminghi-valloni, se non con il rischio di essere ridicoli. E si aggiunga l'enorme presenza di persone legate alle istituzioni comunitarie, ma anche alla "Nato", che fanno della città un vero crogiolo di culture. Lo si vede bene al Parlamento europeo e forse ancor di più nella variegata rappresentanza della democrazia locale del "Comitato delle Regioni". In Place de Luxembourg, piazza della movida comunitaria, all'ora dell'aperitivo si vedono giovani di tutta Europa che ridono e scherzano in un clima davvero di vita senza frontiere. Questa è dunque una città da difendere, non solo per le sue birre, le "moules" e le "frites", le "gaufre" ed il cioccolato, ma perché si è trasformata nel tempo in un luogo in cui convive l'antico della simbolistica della Grande Place con le case delle vecchie Corporazioni con i palazzi moderni della nostra Europa. Oggi si gioca anche a Bruxelles, in tempi di terrore, la capacità di capire perché la nostra Europa non abbia saputo - in giovani europei islamici ormai seconda o terza generazione di immigrati - inoculare un vaccino contro l'integralismo religioso che li ha contagiati, trasformandoli in "zombie" dell'estremismo islamico.