Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
20 ott 2015

La svolta centralista e il "rischio cicala"

di Luciano Caveri

Brutto vizio quello di scrivere di politica, anche se spero che i lettori più di lungo corso apprezzino il fatto che non sia lì maniacalmente ad occuparmi di questo orto con una logica monocolturale, ma cerchi di tenere una certa varietà di verdure... In queste ore, viene votata la riforma del Senato, che uccide sé stesso, trasformandosi in un'Assemblea con pochi poteri, sancendo di fatto un monocameralismo all'italiana, che per altro diventa appannaggio di un presidente del Consiglio che di fatto diventa il "Capo Supremo". Scrive bene il costituzionalista Michele Ainis su "L'Espresso" sulla nuova Costituzione del renzismo: «...in coppia con l'Italicum introduce il presidenzialismo senza dichiararlo. Fu il progetto dei missini, poi del Partito socialista nel suo congresso a Rimini nel 1987, poi del "lodo Maccanico" nel 1996, poi della Bicamerale guidata da Massimo D'Alema nel 1997, poi da Silvio Berlusconi nel 2008. Nessuna di quelle intenzioni si è mai realizzata, forse perché erano troppo esplicite, dirette. Dopotutto siamo pur sempre il Paese che accoglie Santa Romana Chiesa: in Italia si fa, ma non si dice».

Si fa e non si dice, capite bene. Perché a questo si aggiunge non solo un Esecutivo che schiaccia un Parlamento dimezzato, con maggioranze bulgare grazie all'Italicum. Su questo successo che farà terra bruciata, oggi il Partito Democratico gongola, ma un giorno piangerà, quando il vento girerà e nessuno potrà gridare - quando altri governeranno senza opposizioni - all'attentato costituzionale... In Valle d'Aosta si dice e dicono i due parlamentari in carica: noi e le altre Speciali abbiamo una solida norma transitoria che ci mette, in vista di una riforma degli Statuti, in una botte di ferro. Ma sulle macerie del regionalismo previsto dalla riforma penso sarà difficile che nascano i fiori di una nuova stagione autonomista (di federalismo non si parla più). Anzi, l'ordine del giorno, accolto dal Governo, sulle macroregioni - di cui ho già parlato ieri e dunque non ci torno - è come un cartello che indica la via futura più di tante storie che ci possiamo raccontare sul l'eleganza delle norme o le mirabolanti promesse degli "amici degli amici". Da noi manca, ma ce l'hanno a Trento ed a Bolzano, un direttore di giornale come Alberto Faustini, che scrive in queste ore parole d'oro su cui un giorno nessuno sarà autorizzato a piangere: «Certo si può gioire per l'ennesimo attentato (all'autonomia) sventato al Senato. Ma forse ci si dimentica che questo Senato, fra qualche anno, non ci sarà più. E con maggioranze diverse alla Camera, il Renzi di turno, si guarderà bene dal farsi "ricattare" da un pugno di autori della nostra autonoma terra. Con tutto il rispetto per la giusta e fondamentale trattativa portata avanti dai nostri parlamentari, chiedo - prima a loro e poi a tutti - quanto sarebbero stati ascoltati, i nostri prodi, se non avessero avuto in saccoccia i voti determinanti per la tenuta del Governo. Di qui il mio continuo ed a tratti fastidioso (me ne rendo conto) tornare sul tema della provvisorietà di un'autonomia che ogni giorno rischia, se non di saltare, di perdere un pezzo». Faustini lamenta poi, in salsa trentina, ma penso valga anche per il vicino SüdTirol, una mancanza di giovani leader nei partiti, garanzia di un ricambio generazionale che dimostrasse vitalità nel pensiero autonomista. Discorso valido anche in Valle d'Aosta, che pure non può godere di quella polizza sulla vita, valida per i sudtirolesi con estensione anche ai trentini, della "garanzia internazionale" dell'Austria. Una copertura di cui i valdostani sono privi. Così mi fa sorridere chi oggi annuncia che tutto va bene nel migliore dei mondi possibili. E non lo dico né per fare il "gufo" e neppure il "grillo parlante", conscio che la politica è fatta di realismo e di tattiche che risultano necessarie a seconda delle circostanze in campo. Ma la peggiore delle cose è cercare di modificare la realtà e far finta di niente, come nella fiaba della cicala e della formica. "Una mattina la cicala si svegliò tutta infreddolita, mentre i campi erano coperti dalla prima brina". Ricordate la fine della calda estate e la differenza con la formica previdente in vista del gelo incombente? La brutta fine, insomma, è nella distanza fra prepararsi al rischio del gelo e non farlo. Godere di un risultato che, come dice Faustini, sembra più una "vittoria di Pirro", perché le macroregioni sono nella mente di troppi e ormai l'idea di un'autonomia speciale come privilegio da abolire si è diffusa in tanti ambienti che stanno facendo rete a differenza nostra. Le Istituzioni, anche quelle che hanno - a secondo certo dei regimi politici della loro epoca - una profondità storica da capogiro, nascono e muoiono. Si sa di conseguenza che il desiderio "autonomistico" di chi ha popolato nel tempo la Valle d'Aosta ha avuto alti e bassi, ma ballare sull'orlo del precipizio - confidando nella solidità della situazione - è un esercizio scellerato.