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20 ott 2015

Tripoli, bel suol d'amore...

di Luciano Caveri

Se i libici faranno nascere un nuovo Governo, l'Italia «è pronta» con i suoi soldati ad assicurare la sicurezza di alcune zone del Paese: lo ha detto ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Ciò appare del tutto in linea con quanto dichiarato alle Nazioni Unite dallo stesso premier, Matteo Renzi. Contro l'Isis «siamo di fronte alla più grande coalizione mai vista. Serve grande responsabilità, e l'Italia è intenzionata a dare un sostegno risoluto»: così Renzi partecipando al summit sul terrorismo presieduto da Barack Obama. «Offro al presidente Obama - ha aggiunto Renzi - tutto il sostegno dell'Italia sul fronte dell'azione antiterrorismo». Il premier si è detto quindi convinto che l'Isis verrà sconfitto. «Non solo Siria, non solo Iraq. Ma anche Africa e in particolare, per quel che interessa l'Italia, Libia», ha aggiunto Renzi al summit.

Se si vanno a leggere le dichiarazione degli ultimi mesi, la politica estera italiana sul punto appare del tutto ondivaga, sembrando talora come la pallina che rimbalza dentro una roulette che gira. Le ultime sono appunto l'uso eventuale dei vecchi aerei "Tornado" in Iraq e l'Italia capofila in Libia contro gli estremisti islamici, ma anche a vantaggio di modalità più umane della marea montante dell'immigrazione in partenza da quelle coste, che oggi arricchisce varie categorie di umanità scadente. Ma la Libia fu terra di conquista per l'Italia e dunque c'è da chiedersi se e perché dovremmo essere capofila laddove non siamo stati mai accolti con favore. Ha scritto Nicola Labanca: «Una storia per quarant'anni liberale e per vent'anni fascista, bruscamente interrotta perché il regime perse in guerra (1941-1943) tutte le sue colonie. Di quella storia è rimasta una memoria nazionale fortemente ambigua, parziale. Solo una parte della storia è stata ricordata. Come tutti i colonizzatori europei, gli italiani amano ricordarsi e immaginarsi come "bravagente" affascinata dalle bellezze della natura africana, sinceramente interessata delle popolazioni dominate, prodiga di interventi in loro favore. E' difficile negare che anche questo furono (ma quanto rispetto ad altri imperi coloniali? Già a questa domanda non si vuole rispondere). Inoltre, un po' come i francesi in Algeria ed i britannici in Rhodesia o in Sudafrica, laddove poterono, gli italiani affollarono le loro colonie anche di povera gente, di lavoratori manuali, di "petit blancs" o "poor whites" come si diceva a Parigi o a Londra. L'Italia liberale e persino l'Italia fascista (se si esclude la conquista dell'Etiopia, 1935-1941) esportarono nelle colonie molto più manodopera che capitale». Ma c'è di più e lo si trova nelle crude descrizione della violenza degli italiani, riassunta - il migliore fra tutti - dallo storico Angelo Del Boca, ad esempio nel libro "Italiani, brava gente?", in cui - dalla guerra al brigantaggio alla Seconda Guerra Mondiale - demolisce il falso mito della bontà degli italiani e la Libia fu un esempio terribile di campi di concentramento, deportazioni, uso di armi sofisticate. E pensare che nelle carte di mio nonno Emilio Timo, ufficiale di Cavalleria, si trovano quelle cartoline ammiccanti, con piacenti bellezze locali e ciò riecheggia la logica di quel motivetto musicale ammiccante, che faceva così: «Sai dove s'annida più florido il suol? Sai dove sorride più magico il sol? Sul mar che ci lega coll'Africa d'or, la stella d'Italia ci addita un tesor. Tripoli, bel suol d'amore, ti giunga dolce questa mia canzon, sventoli il Tricolore sulle tue torri al rombo del cannon! Naviga, o corazzata: benigno è il vento e dolce è la stagion». Capisco che i tempi sono cambiati e ormai le nostre Forze Armate intervengono sugli scenari di guerra in quelle che, con copertura da foglia di fico, vengono chiamate "missioni di pace", che pure ci stanno, ma che prevedono uso di armi e affini e far finta che non sia guerra è solo ipocrisia. Ma in Libia, visti i poco nobili precedenti coloniali e pure certe scene di entusiasmo del recente passato verso il feroce dittatore Mu'ammar Gheddafi, forse l'Italia dovrebbe astenersi nell'immaginario ruoli politicamente impegnativi.