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27 ago 2015

Roma: i funerali del Padrino

di Luciano Caveri

La cronaca quotidiana offre talvolta degli scenari che superano di gran lunga qualunque cosa sia stata immaginata in un libro od in una sceneggiatura cinematografica. Come se la realtà riuscisse nella rara impresa di scalare orrori, che parevano essere irraggiungibili in un'iperbole che lascia senza fiato. Dico subito che non ho affatto intenzione di farci il callo. Di recente ho rivisto in televisione la straordinaria triade dei film del "Padrino" del regista Francis Ford Coppola. Ho poi cominciato a guardare per curiosità, non avendolo mai fatto, "The Sopranos", fiction nata già per la televisione e spiace che il principale protagonista, il bravo attore James Gandolfini, sia morto due anni. Entrambe le serie raccontano storie di Mafia negli Stati Uniti, anche se poi la saga di Vito Corleone qualche ambientazione in Sicilia ce l'ha avuta.

A parte la vergogna che si prova di fronte a questa immagine internazionale dell'Italia, resta da riflettere su come certi comportamenti umani dei clan malavitosi siano degni di approfondimenti sociologici e psicologici e di atteggiamenti, che mai devono in qualche modo risultare di comprensione e neppure di sottostima. Fra i diversi aspetti interessanti, c'è quello dei riti che caratterizzano la mafiosità, che si sono diffusi in tutta Italia e nel mondo come una malattia infettiva. Penso, ad esempio ma non a caso, a quel misto fra religione e superstizione, compresi riti iniziatori con l'uso di immagini sacre, che sono alla base dell'affiliazione e su questo Papa Francesco non è stato reticente. Infatti sul punto ancora di recente il Pontefice ha detto: «I gesti esteriori di religiosità non bastano per accreditare come credenti quanti, con la cattiveria e l'arroganza tipica dei malavitosi, fanno dell'illegalità il loro stile di vita. Non si può dirsi cristiani e violare la dignità delle persone; quanti appartengono alla comunità cristiana non possono programmare e consumare atti di violenza contro gli altri e contro l'ambiente». Parole pesanti in linea con la medesima grinta antimafia di Giovanni Paolo II. Il caso eclatante di queste ore - che farebbe ridere se non facesse piangere e indignare - è la storia del funerale pacchiano e indegno di un Paese civile del malavitoso Vittorio Casamonica, capo del clan di rom stanziali di origine abruzzese, che agisce da decenni nel malaffare a Roma, nei Castelli Romani e nel litorale laziale. Non ripeto più di tanto cosa è avvenuto a "Roma Capitale" (sic!): foto e slogan su enormi manifesti sulla facciata della chiesa, corteo funebre con carro trainato dai cavalli e con macchine da papponi, banda musicale che suonava una versione stonata del "Padrino", pubblico plaudente e commosso con i Vigili urbani ad ordinare il traffico, petali di rosa gettati da un elicottero in volo che lì non ci doveva stare. Lo Stato ha dimostrato di essere assente contro questa sagra del "kitsch" (che gli interessati spacciano a vantaggio dei gonzi del "politicamente corretto" come esempio di cultura rom!), mentre la parrocchia salesiana è stata connivente con la sceneggiata funebre in aperto contrasto con gli indirizzi della Chiesa dettati dal Papa in persona. Molti degli interessati usano la solita "foglia di fico" all'italiana e cioè il «a mia insaputa», oltreché il meraviglioso esercizio dello "scaricabarile". Quel che è interessante è stata proprio l'ostentazione volgare ed irritante della ricchezza, che è una specie di virus che si è diffuso non solo in questi ambienti malavitosi, ma la si vede dappertutto, specie fra i parvenu. Penso a qualche impresario valdostano con case hollywoodiane, esempio di cattivo gusto e rozzezza e frutto di guadagni fuori controllo nell'epoca d'oro degli appalti pubblici. Ma torniamo alla malavita conclamata e alla necessità che non si accettino certe buffonate. E soprattutto bisogna avere la certezza che, alla fine dei conti, ci siano dei responsabili: a me cittadino interessa sapere, dal Ministro dell'Interno in giù, chi lascerà la sua poltrona per manifesta incapacità. Altri dovrebbero chiedere conto alle autorità religiose, affinché le indicazioni papali, espresse con durezza e franchezza, non siano - come avvenuto in questo caso, malgrado i tentativi di mascheramento - una "vox clamantis in deserto".