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27 ago 2015

Se in Sicilia crescono i "no" all'Autonomia

di Luciano Caveri

Per fare una Sicilia ci vogliono, in termini di territorio, quasi otto Valle d'Aosta ed almeno cinquanta come popolazione. Schiacciante il confronto del numero dei parlamentari a Roma: un senatore valdostano contro venticinque siciliani, un deputato contro cinquantadue. Eppure, così diversi e così distanti anche per il percorso storico dall'antichità ad oggi e dal fatto che una è isola nel Mediterraneo e l'altra in mezzo alle Alpi, siamo comunque legati da un insolito destino, quello della "specialità". Anzi fra tutte le autonomie differenziate siamo state le prime. Per la Valle d'Aosta con una circoscrizione autonoma ottenuta nel settembre del 1945, mentre otto mesi dopo nasce già - con un primo Statuto - la Regione siciliana. Status di autonomia speciale confermato per entrambe dalla Costituente e dunque dalla Repubblica. Va detto, per onestà, che il loro Statuto era, più del nostro, una miniera d'oro di poteri e competenze, spesso rimasti sulla carta per responsabilità tutte siciliane.

E' sempre interessante, dunque, seguire il dibattito sul futuro della più grande autonomia speciale, quella siciliana appunto, i cui problemi istituzionali si intrecciano - volenti o nolenti - con i nostri. In questa fase storica, in cui moltissime voci si levano in favore dell'abolizione della specialità, il dibattito in Sicilia ha preso una strana piega: ci sono autorevoli siciliani che chiedono l'abolizione della specialità perché sconfitta nei fatti. Consiglio a questo proposito la lettura del libro sul tema del giornalista siciliano Pietrangelo Buttafuoco, tipo interessante ed eccentrico, con una prosa personalissima e un forte anticonformismo. Il titolo dimostra questi tratti: "Buttanissima Sicilia. Dall'Autonomia a Crocetta, tutta una rovina". L'inizio del pamphlet contiene la tesi che poi sarà dimostrata nelle pagine seguenti: