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30 lug 2015

Il Turismo e il fattore umano

di Luciano Caveri

Penso che in molti lo abbiano constatato. Oggi il turismo è sempre più permeato dal desiderio di conoscere in fretta e con la maggior densità di cose da fare il luogo dove si soggiorna. Questo significa conciliare la crescente brevità delle vacanze e il legittimo desiderio di farne il più possibile per visitare il maggior numero di luoghi con la voglia di fare delle "full immersion", che evitino di sprecare del tempo. Alle tradizionali guide cartacee che ti consentono a tavolino di evitare di arrivare completamente digiuni (tipo per il mondo "Lonely Planet" o in Italia certe pubblicazioni del "Touring Club") oggi si aggiunge il vasto panorama rappresentato dalle risorse di Internet. Già in fase di programmazione e pianificazione si può trovare su un computer tutto quanto è necessario.

Anzi, come sa bene chi usa con continuità, i motori di ricerca, oggi a fare la differenza è semmai la capacità di filtrare le informazioni nel mare magno di siti e affini, trovando fonti attendibili e notizie ben organizzate. Il rischio, infatti, è quello di annegare nel flusso eccessivo e spesso scadente delle notizie rinvenute. Esiste poi, ma va di pari passo con la qualità e il costo della connessione in loco, un insieme di applicazioni (in breve "App") che consentono, anche in questo caso con i necessari distinguo, di connettere i luoghi dove ci si trova, grazie alla geo-referenziazione, con una messe di informazioni digitali le più varie che esplorano in profondità tutto quanto vi circonda. Preziosi sono, ad esempio, i riferimenti cartografici o certi suggerimenti su cosa si può trovare, un tempo solo librari, con minor efficacia. Eppure il fattore umano resta fondamentale. Lo è nel contatto con le persone che incontri, specie laddove si riesce a rompere la barriera linguistica. Ma lo è attraverso una figura professionale fondamentale: la guida turistica. Ho avuto la fortuna in diversi luoghi - penso ad esempio alla prima, drammatica visita ad Auschwitz con un polacco che parlava un italiano letterario - di trovare persone colte e preparate. Possono essere dei mediatori culturali che ti fanno capire e vivere, nelle pillole di quel che si può cogliere in viaggio, l'aria dei luoghi e i sentimenti della popolazione. Ecco perché non è un mestiere qualunque, che possa essere soggetto a fenomeni migratori di chi cerca lavoro da altre zone e si propone senza conoscere davvero quel che deve raccontare. Fa sorridere, anche in Valle d'Aosta, il periodico riferimento che si fa alla libera circolazione dei lavoratori e al mercato aperto delle professioni per non violare i principi di concorrenza. E' uno di quegli atteggiamenti bovini di applicazione dei principi comunitari, che rendono l'Europa incomprensibile e odiosa. Il rischio è quello di farsi accompagnare da persone, magari preparatissime in teoria, ma che non sanno cose fondamentali accumulate nella quotidianità della vita in quel luogo che devono descrivere. Un'analogia: capita di trovare nei locali, anche in Valle d'Aosta, del personale al contatto con il pubblico che non ha alcuna conoscenza della realtà che gli sta attorno. Non è questione, in questo caso, di chissà quale origine "doc" delle persone, ma della necessità di formare i lavoratori, evitando di avere - come mi è capitato nel ristorante di un hotel molto stellato - un maître che presentava dei piatti di gastronomia locale, vini compresi, dando esattamente la sensazione di non avere neppure lontanamente l'idea di che cosa parlasse. Poteva essere sulla Luna e sarebbe stato uguale. Lo stesso è successo con certi portieri d'albergo che sembravano paracadutati in quel posto giusto la sera precedente, non avendo neppure le più elementari nozioni di che cosa ci fosse attorno all'albergo. Sarò capitato male, ma trovo che sia un'attenzione per nulla banale, perché sono figure con cui da turisti si interagisce con maggior facilità. Ripeto per chiarezza che questo non vuol dire avere - sarebbe impossibile - solo dei residenti pensanti, ma riguarda la necessaria formazione e pure un approccio professionale al proprio lavoro. Insomma: sarà pur vero che in un Paese turistico è difficile capire bene chi agisca e chi no in un sistema turistico interconnesso con tutto il resto, ma è certo che ci sono degli snodi senza i quali alla fine della vacanza si può restare con l'amaro in bocca. Ma ci si può consolare. Dice José Saramago: «Il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione. Quando il viaggiatore si è seduto sulla sabbia della spiaggia e ha detto: "Non c'è altro da vedere", sapeva che non era vero. La fine di un viaggio è solo l'inizio di un altro». Così mi piace pensare.