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28 lug 2015

Cuius regio, eius religio

di Luciano Caveri

Che bello che è il latino, servito per secoli come lingua della cultura, come fucina di formule ad effetto, terreno di compromessi nel nome del diritto, distillato di pillole di saggezza ed è persino stato adoperato, con l'uso del "latinorum" su cui scherzò pure Alessandro Manzoni, per nascondere verità dietro a dizioni fumose. "Cuius regio, eius religio". La locuzione latina, che può essere intesa come "chi governa detti anche la religione", indicava l'obbligo del suddito di conformarsi alla confessione del principe del suo Stato. Il principio venne introdotto in seguito alla "Pace di Augusta" del 1555 fra l'imperatore del "Sacro Romano Impero" Carlo V e la "Lega di Smalcalda", come soluzione al problema del conflitto fra cattolicesimo e luteranesimo. Visto che la Storia va avanti, ma del passato come esempio non va buttato via niente, trovo che questa stessa dottrina - che dovrebbe essere largamente superata nello Stato laico - si trova alla base del "rollandinismo", come maionese impazzita dell'ordinamento valdostano.

La logica è quella di adeguarsi alla religione - ovviamente monoteista - del "Capo", esclusiva e intrisa di dogmi da lui stesso dettati nel nome della sua presunta infallibilità. Siamo ormai al di là di una visione personalistica della politica o del culto della personalità dei fedelissimi, siamo ad un metodo di governo che diventa sistema ed aderirvi non può essere giustificato come scelta programmatica ma diventa sic et simpliciter un'adesione fideistica. Così di recente il Partito Democratico è caduto nella rete e con invidiabile disinvoltura è salito sul carro del vincitore, senza troppi tentennamenti e convinto di aver fatto chissà quale investimento per il futuro. Chi ha perduto spazi e un pezzo di faccia nella nuova maggioranza e nel rimpasto governativo (che a mio avviso per rispettare la legge in vigore doveva avvenire con le dimissioni del presidente) è certamente la Stella Alpina, ma evidentemente essi stessi seguono la religione dei chi governa e "digeriscono qualunque cosa", parafrasando lo slogan del digestivo "Ebo Lebo", inventato tanti anni fa dalla distilleria "Ottoz". Strana deriva di una democrazia parlamentare, in cui non sono mai mancate personalità marcanti anche molto discusse, ma questa situazione, in una vicenda davvero da oggetto di studio dei politologi, assume ormai evidenze patologiche. Andrebbe approfondita non l'attrazione esercitata verso certe opposizioni e poi naturalmente andrebbe compreso quale sia il collante di chi in maggioranza c'era già e di chi ci è arrivato in seguito, ma sarebbe interessante occuparsi "ad personam" anche del fenomeno di chi non era d'accordo con metodi e scelte nella cosiddetta società civile e piano piano ha deciso di farsi felicemente inglobare, naturalmente con le motivazioni le più nobili, perché ammettere di aver fatto il "salto della quaglia" e di andare volentieri a mensa non sarebbe elegante. In più vedo strane facce in giro e mi preoccupo. Personalmente dissento da tutto questo senza tentennamenti. Anzi, penso che l'esercizio delle proprie libertà sia come respirare aria pura e sentirsi a posto con la coscienza, sapendo che certe riflessioni serviranno soprattutto per le generazioni che verranno e che un giorno - temo - scopriranno quale misera eredità si sta preparando per loro. E bisogna manifestare la contrarietà proprio per evitare che loro si trovino di fronte ad una distruzione delle Istituzioni sulla quale potrebbe persino non rinascere più nulla, perché ci si troverà sulla terra bruciata. Ecco perché non è ragionevole e neppure prudente accettare forme di coinvolgimento o peggio di collaborazionismo. Bisogna difendere una democrazia vilipesa, tornando ad una visione partecipata dell'autonomia valdostana. Altrimenti la politica rischia di essere considerata solo più una sorta di recita di Carnevale e il prezzo da pagare potrebbe essere l'esistenza stessa della Valle d'Aosta quale Regione. Sento, però e per fortuna, che c'è nell'aria una certa tensione che induce a non essere pessimisti, perché come scriveva Karl Popper: «Il futuro è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che voi e io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le possibilità del futuro che sono aperte». Già...