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30 apr 2015

Il bosco e la montagna

di Luciano Caveri

Mi piace la primavera, perché il ritorno del bel tempo, del verde e della fioritura mi mettono di buonumore. Che poi tutto funziona, come nel resto della vita, perché c'è un alternarsi delle stagioni, altrimenti sarebbe una terribile monotonia. Ho già citato in passato una bella frase di un botanico francese, Bernardin de Saint Pierre, che osservava come «Un paysage est le fond du tableau de la vie humaine». Questo vale moltissimo in generale, ma a maggior ragione laddove, come sulle Alpi, fatte le salve le alte cime, i ghiacciai e i luoghi impervi, il territorio è stato forgiato dalla mano dell'uomo, certo adeguandosi ai ritmi della Natura. Devo dire che, se rapportato alla mia esperienza personale visiva, quel che più mi colpisce di anno in anno è la straordinaria progressione del bosco, pur sapendo come il nostro paesaggio alpino abbia proprio nel bosco, pur con differenze fra zona e zona, una delle caratteristiche più originali.

Da questo punto di vista, bisogna ricordare come appunto sia del tutto infondato uno slogan che si adopera in occasione di grandi tragedie naturali: c'è chi, avendo presente altri Continenti, riversa spesso la responsabilità di certi dissesto idrogeologici alla deforestazione. Un gigantesco abbaglio da noi perché, come in tutto l'Arco alpino, le foreste si espandono. Trovo sul fenomeno diversi dati. Il primo è interessante - e penso recente - proprio sulla Valle d'Aosta: la superficie coltivata a cereali, specie la segala, è passata da ottomila ettari a circa cinque ettari. Il resto in prevalenza se l'è ripreso il bosco. Vale perciò, prima di tornare a noi, lo sguardo più largo riguardante le Alpi dall'osservatorio documentato della "Convenzione alpina", che ha un suo Protocollo sulle foreste montane. Documenti utili, anche se poi la "Convenzione", ancora legata troppo agli Stati, sconta una mancanza di risorse, che rischia di relegarla al ruolo nobile ma spesso improduttivo della moral suasion. Ebbene, il quaranta per cento del territorio alpino è coperto da foreste in continua estensione a causa dell'abbandono dei terreni agricoli. Ed è spesso un'estensione caotica e "brutta", perché priva di quella coltivazione e cura che crea ordine nel bosco, a dispetto di chi predica una naturalità senza intervento umano che sulle Alpi è un'invenzione. Ricordo lo scomparso Albert Cerise, che era un forestale prima ancora che politico e gli brillavano gli occhi quando parlava della materia che amava. La sua preoccupazione era che l'aumento indiscriminato dei boschi non significasse affatto l'efficienza del sistema forestale. Di cui, tra l'altro, segnalava un aspetto significativo: «I boschi valdostani producono circa settanta milioni di metri cubi di ossigeno l'anno e sottraggono quasi un miliardo di metri cubi di anidride carbonica. I benefici di tale bilancio non sono solo a vantaggio della comunità valdostana, come ad esempio gli effetti della funzione protettiva o ricreativa, ma dell'intero sistema ambientale». Leggevo su "Environnement" cosa scrisse Christian Chioso: «I dati storici confermano, per quanto riguarda il territorio valdostano, questo andamento di crescita della superficie boscata complessivo: il primo inventario forestale è del 1795 e gli ettari di hai chi misurati ammontavano a 58mila ettari; la superficie, in seguito, è drasticamente diminuita, arrivando alla fine del XIX secolo a circa 25mila ettari. Il XX secolo ha visto una notevole espansione del bosco soprattutto nel secondo dopoguerra, arrivando ad una superficie di circa 90mila ettari nel 1999». Immagino che, in questo quindicennio, il dato sia ancora molto cresciuto. Basta guardarsi attorno per constatarlo. Ora è vero che parassiti incombono, come la terribile processionaria delle pinete, lepidottero vorace, ma qualche ragionamento va fatto su questo bosco che dilaga. E' il caso davvero di avere sempre più una strategia alpina dal respiro europeo.