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04 mag 2015

La tragedia del Nepal

di Luciano Caveri

Non sono mai stato in Nepal per una serie di sfortunate combinazioni. Ogni volta che fissavo di andarci, capitava qualcosa. Oggi guardo con partecipazione umana agli esiti drammatici del forte terremoto che ha investito il Paese himalayano con tanti morti e danni gravissimi anche al patrimonio architettonico e artistico. Del Nepal, che ha la metà della superficie (ma una parte montagnosa imponente) e del numero di abitanti dell'Italia, seguivo in particolare le complicate vicende politiche, fra la fine della monarchia tradizionale e conservatrice e il terrorismo degli anacronistici gruppi armati maoisti. Da quasi un decennio inutilmente il Paese sta cercando un suo assetto istituzionale attraverso un'infruttuosa Assemblea Costituente e dunque l'instabilità resta evidente con conseguenze gravi sull'economia già fragile e arcaica. Si accentuerà la povertà, che resta una realtà terribile, come mi è stato raccontato in passato da molti amici alpinisti o appassionati di trekking. Ci mancava il sisma a rendere tutto ancora più difficile e certo il turismo - una delle poche fonti di guadagno sicuro - ne risentirà, anche per la tragedia nella tragedia al "campo base" dell'Everest.

Da politico mi sono occupato a lungo, nell'attività in Parlamento, del "Laboratorio Piramide" nato nel 1990, a 5.050 metri di quota, nella Valle del Khumbu, "Sagarmatha national park", ai piedi del versante nepalese dell'Everest, impegnato nel tempo in numerose ricerche scientifiche e nell'equilibrismo per compiacere le autorità locali. Ma questo mio interesse era più vasto e riguarda ancora tutti i Paesi e le popolazioni montane del mondo. Lavorando in particolare per l'Anno internazionale delle Montagne 2001 e seguendo ancora dopo il lavoro in particolare della "Fao", mi ero convinto di due cose. La prima è la straordinaria affinità di problemi che i popoli di montagna devono risolvere, certo con un evidente décalage temporale fra, ad esempio, le nostre Alpi ed i massicci in Paesi in via di sviluppo su questioni da noi affrontate molti anni fa. Il trasferimento di esperienza, tenendo conto di quanto acquisito e anche degli errori fatti, può essere assai utile. Sapendo bene che non esistono modellistiche da riprodurre in automatico, ma gli aspetti comparativi possono indirizzare le zone più arretrate a percorrere le strade più giuste. Ecco perché - secondo punto - ho sempre pensato che esista un obbligo morale per noi abitanti delle zone di montagna del Nord del mondo verso i montanari del Sud del mondo, sapendo come i territori montani forgino, a distanze enormi, usi, costumi e mentalità che hanno impressionanti rassomiglianze, pur nelle evidenti differenze nel grado di sviluppo. Ricordo forme di cooperazione interessanti nel settore lattiero-caseario con il Tibet o la formazione dei soccorritori in montagna con il Nepal. So bene che chi ama le forme di spiritualità di quei Paesi asiatici critica spesso quei feticci della nostra economia, segnalando come non si possano imporre modi di vita e modelli economici occidentali, perché non è detto che i soldi facciano la felicità. Ma non bisogna neppure farsi abbagliare da visioni misticheggianti, perché a Dubai - ridotti ad animali da fatica - ho visto nepalesi lavorare nei cantieri per paghe misere, perché costretti ad emigrare dal loro Paese, dove la povertà non offre speranze e soprattutto i soldi per campare. Per cui è comodo fare viaggi per farsi penetrare dalla straordinaria forza attrattiva di antiche saggezze, ma sarebbe bene ragionare anche del pane e del companatico. A questo bisogna pensare, ad aiuti concreti, nel post terremoto, sapendo che l'emergenza potrebbe essere un'occasione per un aiuto serio per svoltare.