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27 apr 2015

Un'archeologa che trasmetteva cultura

di Luciano Caveri

Quello di questa settimana è un ricordo, molto semplice, che ha bisogno, però, di una rapida premessa. L'archeologia mi affascina, anche se essendo scienza assai specialistica, non mi azzardo troppo a lasciarmi andare a pensieri propri. Cercare di capire, attraverso tracce di vario genere del passato, che cosa ci fosse prima di noi è comunque qualcosa di straordinario. Più distanti sono i reperti e più i rompicapo diventano interessanti da risolvere: è un esercizio di intelligenza personale, che diventa d'équipe e viene allargato a un mondo di studiosi, che avanza con la comparazione del lavoro degli uni e degli altri. Per noi profani, invece, ottenere il trasferimento delle informazioni di base è un modo, in fondo, per amare ancora di più la Valle d'Aosta in cui viviamo. Raccontare il presente e progettare il futuro non può per nulla prescindere da quanto ci ha preceduto e quando si parla di "valdostanità" che sia chiaro che ogni avvenire funziona solo se siamo memori e riconoscenti a tutto quanto ci parla del nostro passato. Per questo, più volte, mi ha fatto piacere avere in trasmissioni radio l'archeologa Patrizia Framarin, scomparsa poche ore fa a seguito di una grave malattia. La ricordo come una donna sorridente, ironica e molto gentile e con una competenza che le consentiva di rendere amichevole una materia complessa.

Che non stesse bene me lo aveva detto quest'estate, poco prima dell'inizio di una trasmissione di ricordo della figura di Cesare Ottaviano Augusto, fondatore di Augusta Prætoria. Avevamo dovuto posporre l'appuntamento, per cui mi disse di una malattia. Lo fece con molto pudore e non osai chiedere di più, ma pareva essere molto provata. Ma aveva condiviso con piacere, ancora di recente, l'idea di fare in televisione, con dei miei collaboratori, una serie sui molti tesori nascosti nei magazzini della Regione, grazie agli scavi accumulatisi nel tempo. Al microfono si vedeva, da come si "accendeva", la passione di comunicare i risultati del suo lavoro. Fenomeno non sempre scontato in chi studi certe materie e rischia di finire in una ragnatela di soddisfazioni autoreferenziali. Nel suo caso, invece, la Framarin amava spiegare e trasmettere la sostanza delle scoperte. Ricordo proprio la discussione sulla colonizzazione dei romani, le frequentazioni della strada delle Gallie, la vita quotidiana degli aostani nella città voluta da Cesare Augusto, compresa la figura assai discussa di questo Imperatore, su cui io ero molto severo, mentre in lei filtrava l'ammirazione per quello che era comunque stato un innovatore. Ora era attentissima alle recenti scoperte nell'area dove dovrebbe sorgere la nuova area dell'ospedale di Aosta. Riteneva le scoperte fatte, compreso il guerriero celtico di rango di cui è stata scoperta la sepoltura, come qualcosa di forte nello scuotere idee e convinzioni sul passato più remoto della nostra Valle. Non nascondeva qualche timore sul futuro di quell'area così importante per il mondo e non solo per i valdostani. Sono certo che il suo acume nelle ricerche mancherà e anche gli ascoltatori della radio di "Rai Vd'A" non avranno più le sue spiegazioni sulle costruzioni e sugli abitanti della Valle d'Aosta nel corso della nostra Storia millenaria, fatta di sovrapposizioni che hanno reso ricca l'attuale identità in continuo movimento. Perché anche un popolo se si ferma è perduto. Un pensiero affettuoso per la famiglia e per i suoi amici e collaboratori.