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01 mag 2015

Bar e politica

di Luciano Caveri

Ogni tanto la politica - ma io non l'ho mai pensata così - sembra solo essere per alcuni l'intervallo fra un'elezione e l'altra. Per chi imposta così il proprio impegno politico non solo la vita diventa una meschina ricerca ossessiva del voto, senza mai soste, ma ogni scelta finisce per essere esclusivamente condizionata da che cosa essa significhi in termini elettorali per compiacere (talvolta con il lati oscuri e preoccupanti) gli uni e gli altri. Una sorta di prigione del buonsenso e dell'onesta intellettuali (e in certi casi dell'onestà tout court), che considero davvero avvilente. Certi comportamenti ai cittadini dovrebbero fare schifo, perché alla fine ci rimettono loro, con persone elette in perenne campagna elettorale al posto di risolvere al meglio i loro problemi.
Invece, ovviamente le campagne elettorali sono il momento giusto per concentrarsi alla ricerca del voto. Con buona pace dei puritani, per i 1.685 candidati delle elezioni comunali in Valle d'Aosta, esiste un terreno privilegiato dove agire, che pare non risentire della crisi generale delle formule di comunicazione politica. Difficoltà che fanno ormai scervellare gli esperti per trovare modalità nuove di approccio contro l'evidente logorio del rapporto di molti cittadini con la politica. Anche se forse non sono le tecniche ma proprio la politica a non avere più quella attrattività, che dovrebbe essere un punto di partenza irrinunciabile in democrazia.

Il terreno privilegiato, cui mi riferisco, è il bar, locale pubblico ben noto, la cui definizione viene - secondo l'etimologia - da una contrazione del termine inglese "barrier", cioè sbarra. Risalirebbe all'epoca della prima colonizzazione dell'America del Sud, l'angolo riservato alla vendita degli alcolici, nelle osterie o nelle bettole, era per l'appunto diviso dal resto del locale da una sbarra. Nei bar di tutti i paesi si svolgeranno molti degli incontri delle liste in lizza. Siamo nel solco di una vecchia tradizione: agli esordi della mia avventura in politica mi sono trovato a parlare in bar come cimento che ti abituava ad ogni situazione. Se parli fra il rumore una macchina del caffè in funzione, un jukebox di fondo e il ciucco molesto del paese, che commenta sottovoce quel che dice, allora sei pronto a tutto. Le aule parlamentari ti sembreranno sempre, anche nelle peggiori circostanze emotive, un luogo felpato e confortevole... Dilaga ora - come novità ben visibile nel materiale elettorale applicata al bar come luogo di incontro politico - la formula apparentemente innovativa dell'apericena, termine che sostituisce - arrivando tardivamente da noi perché il neologismo risale al 2002... - la più autoctona e rustica "boconà". La sostanza non cambia: si mangia, si beve e si discute. In certi casi - ne sono testimone - non ci sono solo i supporter della lista che invita a partecipare alla parte politica e poi alla bisboccia, ma anche candidati avversari. Mentre i certi casi, insomma, la politica comunale si imbeve di inimicizia e scontri vivaci, in altri e per fortuna aleggiano regole cavalleresche e bon ton. Ma che il bar sia in Valle d'Aosta un forte centro di aggregazione sociale non c'è dubbio: lo scrive chi è cresciuto in un paese valdostano, Verrès, dove ci sono una ventina di bar per 2.781 abitanti e non è località turistica, dove i dati possano risultare falsati dalla presenza degli ospiti. Per altro, tre anni fa, la "Confcommercio", federazione piccoli esercizi, aveva reso noto un dato: in Valle d'Aosta, per ogni mille abitanti, ci sono 4,6 bar, un record in tutta Italia. Pur essendo numericamente i bar solo 596, conta nella particolare classifica citata il rapporto con la popolazione e non il numero assoluto. Insomma: se tutti i valdostani decidessero di andare in contemporanea al bar ogni locale ospiterebbe circa duecento persone... Comunque sia, di questi tempi i locali pubblici diventano comunque palcoscenico per i candidati, per le loro proposte e idee e per qualche brindisi beneagurante.