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28 mag 2014

Uno sciopero che fa pensare

di Luciano Caveri

Ieri la gran parte dei giornali, a causa di uno sciopero dei poligrafici, non era in edicola. Per chi è abituato alla versione cartacea dei quotidiani è stato un autentico lutto. Per chi bazzica sulle versioni on line o cerca notizie su Internet niente di altrettanto sconvolgente, forse solo un fastidio. Il mondo cambia e i taxisti milanesi - esco un attimo dal tema, ma poi ci rientro - possono prendersela fin che vogliono con il servizio di trasporto di persone messo in piedi, attorno ad un ruolo di ricerca del conducente che avviene con la "app" apposita, dalla società "Uber" (che ha avuto problemi in altre capitali europee), ma il mercato (figura immanente, che deriva da una parola antichissima) non si ferma. Così per i giornali, che stanno assistendo ad una rivoluzione digitale che non a caso - dicevo dello sciopero - preoccupa i poligrafici (quelli che restano...), che rischiano sempre più di essere spazzati via per l'evoluzione tecnologica che neppure il luddista più vincente potrebbe mai fermare. Io il giornale di carta l'ho letto abbastanza precocemente, visto che i miei genitori erano puntuali lettori di due quotidiani al dì e il processo imitativo è sempre il primo punto di partenza. Da ragazzo "comprare il giornale" faceva parte del percorso di autonomia personale e di crescita. Poi, da giornalista, la lettura mattutina della "mazzetta", che dà pure un piacere fisico nello sfogliare uno dopo l'altro i giornali intonsi, era un classico in redazione, mentre in politica la lettura era un momento essenziale per scaldare i motori al mattino. Il luogo più bello, per me, è stato la sala lettura dei giornali a Montecitorio, in un grosso stanzone che dava (parlo al passato perché mi dicono non ci sia più) sul "Transatlantico", il salone liberty di fronte all'emiciclo della Camera. Lì, in apposite rastrelliere, posti su bastoni da consultazione per evitarne il furto, figuravano i giornali provenienti da tutta Italia. Uno si sedeva in un tavolo e poi, pian piano, poteva passare in rassegna i giornali più vari oppure, per i pigri, esisteva un servizio efficace di "rassegna stampa". Ma, agli albori dell'informatizzazione, comparve, in un angolo, un computer che riportava in tempo reale (oggi in "Rai" ho la versione ben più moderna) le notizie delle agenzie e lì già si affacciava il problema di prospettiva. Con la velocizzazione dei circuiti informativi, poi sempre più aperti al cittadino dal Web, la guerra della rapidità delle notizie si combatte sempre di più e la versione cartacea, tolto l'alone romantico e conservatore della lettura, rischia sempre di essere sempre anticipata da quanto figura in Rete e il calo di vendite e di pubblicità del quotidiano "tradizionale" fa temere il peggio. Era già in parte così con radio e televisione, ma la consultazione personale - resa ossessiva dai palmari - che consentono di farsi un proprio "menu à la carte" obbliga il giornale ad inseguire a maggior ragione le nuove tecnologie. Ma questo in parte ormai deve avvenire con siti a pagamento, che per ora gli utenti in una certa misura snobbano nella certezza che tanto, per riffa o per raffa, quelle medesime informazioni da qualche parte, smanettando, le si trovano. In Valle d'Aosta questo avviene anche grazie a diversi siti informativi gratuiti per la loro consultazione. Giorni fa, mi raccontava un collega de "La Stampa" come la rubrica di prima pagina di Massimo Gramellini, un must per i lettori, venga ora diffusa abbastanza presto sul Web in modo gratuito, tanto c'era chi, fin dal primo mattino, la metteva in Rete gratis in diverse formule consultabili. Per non dire delle rassegne stampa in radio e televisione che di fatto "sgonfiano" la voglia di andare in edicola, dopo che già hai avuto una bella infarinatura dei contenuti. Siamo, insomma, sul crinale del cambiamento: bisogna attrezzarsi. Chi non lo farà, sarà destinato a grandi delusioni. Per cui non penso abbia ragione il novantenne Eugenio Scalfari, il cui ottimismo alla sua età resta straordinario, questa settimana nella rubrica su "L'Espresso", ma vale la pena di leggerlo con attenzione.