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21 ago 2013

Quante paure

di Luciano Caveri

La persona con cui passiamo più tempo - mi sia perdonata la banalità - siamo noi stessi e in fondo, scavando dentro di noi lungo la nostra vita, scopriamo sempre lati nuovi, che ci possono stupire. Non sono mai stato in analisi, a differenza di miei conoscenti, ma confesso di non esserne molto attirato, anche se ne comprendo l'utilità. Così come credo di non soffrire di nessuna particolare fobia, quel fenomeno complesso e multiforme, fatto di una paura esagerata, irrazionale e immotivata, per qualche particolare tipo di oggetto o di situazione. Mi è capitato di parlarne con un amico psicologo, con cui ragionavamo se potesse starci di raccontare al pubblico come si può uscire da certe patologie, consentendo in più di raccontare - attraverso casi emblematici - la varietà di tipologie possibili, che lascia esterrefatti. Della paura degli animali sappiamo bene, come avviene ad esempio per i ragni ("aracnofobia") o per i gatti ("ailurofobia"), ma la "scotofobia" (paura del buio) o la "acrofobia" (paura delle altezze) già sono meno usuali, mentre altre credo le abbiamo vissute con amici o parenti, genere la "brontofobia" (paura dei temporali), l'"emofobia" (paura del sangue) o la "claustrofobia" (paura degli spazi limitati). In certi casi c'è poco da scherzare, penso appunto ai numerosi casi, che mi sono capitati, avendo preso tante volte l'aereo, di avere vicini di posto che, in modo insospettabile rispetto alle loro apparenze, sin dal decollo vivevano un autentico incubo nella convinzione che la loro ora stesse per suonare. Forse, tornando a me stesso, l'unica preoccupazione che ho - penso che si chiami "demofobia" - è quando mi trovo nel "pigia pigia" di una folla: mi è capitato, dovendomi sforzare di star tranquillo, una sola volta in una piazza stracolma, durante una sagra popolare ad Asti e devo dire che forse inconsciamente evito di trovarmi in una situazione di questo genere. Eppure basta pensare ai Parchi di divertimento per aver conferma di come le persone amino le folle. Altrimenti sarebbe impensabile vivere situazioni, come mi è capitato ad "EuroDisney" o a Gardaland, dove la brevità nella durata di attrazioni in genere spaventose (il piacere di avere paura lo viviamo anche con libri noir e film horror), è preceduta - in modo illogico - da code mostruose per poter accedere al gioco. L'altro giorno, ho avuto conferma del medesimo meccanismo nel gigantesco parco acquatico di "Ondaland" nel novarese, dove le attese in coda riguardano scivoli d'acqua sempre più veloci e spaventosi, così come l'attesa spasmodica per l'onda artificiale creata ad hoc in una vasta piscina, dove si consuma un rito collettivo, fatto di urla, gridolini e adrenalina, che attraversa i bagnanti come una saetta. Insomma, l'umanità non finisce mai di stupire.