Il futuro del sistema autonomistico

Elso Gerandin durante l'Assemblea del 'Cpel'Prima faccio una premessa per non essere equivocato: da molti anni, prima che il tema diventasse alla moda, sostengo e ho lavorato affinché per il sistema comunale valdostano (comprese le "Comunità montane" cui bisognava cambiare il nome anni fa) proseguisse uno sforzo di aggregazione dei servizi e di risparmio sulle spese superflue. Sapendo che il cuore della democrazia locale è lì e per fortuna esiste una buona legislazione tutta nostra costruita a partire dagli anni Novanta. Certo, oggi con il vento della crisi, diventa più impellente uno scatto ulteriore.
Aggiungo un ultimo elemento e cioè che esiste un problema sociale prima che politico: la "taglia" dei Comuni non è banale, perché al di sotto di una soglia di abitanti la comunità rischia un'estinzione anche politica e economica e non bastano le leggi per garantirne la sopravvivenza.
Sono contento che i sindaci unionisti, sposando le tesi di Elso Gérandin e dei suoi travagli, abbiano indicato una linea, che è stata poi condivisa dal "Consiglio permanente degli Enti locali - Cpel" sul futuro dei nostri poteri locali. La soddisfazione deriva dal fatto che - ne parlo con qualche giorno di distanza - nell'Union si sono confrontate due linee e ha perso quella che personalmente avversavo. Potrei anche mettermi qualche medaglia, avendo parlato quando gli altri tacevano, ma non serve a niente, sempre che non ci sia il tentativo di modificare gli avvenimenti così come si sono prodotti. E annoto un dispiacere di fondo ancora più grande: penso di aver maturato sul tema, nei molti anni alla Camera dei deputati, una buona esperienza e non essere coinvolto per ora nella parte preparatoria della riforma mostra nel concreto di come il famoso "dialogo" è spesso solo fumisteria. Non lo dico per far la vittima, ma che nessun altro faccia la vittima per la semplice circostanza che certi diktat vengano contestati. Trattasi semplicemente della democrazia.
Dovendo riassumere quel che era il contendere: da una parte, posizione che ho condiviso, c'era chi riteneva intangibile la competenza statutaria primaria sull'ordinamento degli enti locali e dunque in questo solco chiedeva un confronto per avere una legislazione propria e originale. L'altra tesi, dai contorni incerti perché ne ho sentito diverse versioni, voleva applicare la legge dello Stato, nota come "spending review", in quattro e quattro otto.
Tutto ciò in un clima già brutto per i Comuni tra tagli e "Patto di stabilità" e con alcuni sindaci che avevano - parlo al passato ma dubito che la storia sia chiusa - guardato più a certe indicazioni da Palazzo regionale che ai propri Municipi (qualcuno lo ha fatto abbacinato dal seggio di consigliere regionale).
Ora, affermati i principi, ci vuole un testo, che immagino verrà varato dalla Giunta per arrivare in Consiglio, che su materia di questo genere non può essere solo tappezzeria.

Commenti

Ricevo e pubblico...

...cosa scrive un montanaro occitano.

Piccoli comuni delle valli, che fare?

La democrazia rappresentativa è strumento magari imperfetto, ma altro di meglio non c’è, ogni elettore col suo voto consegna il testimone a colui che lo rappresenterà riducendo così il numero dei decisori e rendendo gestibili e funzionali le sedi deliberanti.
Tutto bene, ma questo per funzionare presuppone che il numero dei “rappresentati” sia di dimensioni tali da rendere improponibile la democrazia diretta, dove ognuno partecipa alle decisioni.
Va da se che sotto certi numeri la democrazia rappresentativa denuncia dei limiti, non funziona più, questa è la situazione di molti comuni delle valli, dove da tempo si sono insediate dinamiche che non esito a definire di tipo tribale, dove pochi, troppo pochi decidono e a volte quei pochi non sono neppure quelli delegati a farlo.
Una revisione dell’impianto istituzionale delle valli è urgente non per questioni economiche (una organizzazione la si modifica prima di tutto per renderla efficiente), ma per recuperare efficacia, incisività, funzionalità e progettualità.
Se sommiamo l’inefficienza dei piccoli comuni montani all’implosione delle improbabili Comunità Montane, sedicenti Agenzie di Sviluppo, il quadro è sufficientemente chiaro: andiamo verso la paralisi istituzionale nelle valli e si aprono le porte a interessi esterni.
La differenza tra monte e piano sta nella presenza a monte di curve di livello e stagionalità immanenti e, soprattutto, nella assenza della “massa” , quassù le comunità da sempre hanno dovuto imparare a convivere in solitudine con un ambiente difficile e le soluzioni istituzionali adottate e che hanno funzionato per secoli, fino alla recente modernità, avevano i connotati di un approccio comunitario.
I singoli Comuni erano autonomi nelle questioni di ordinaria amministrazione, ma le decisioni erano prese in consessi di valle, mentre le assemblee dei capifamiglia, esempio di democrazia diretta, si pronunciavano su questioni ritenute vitali. Ogni valle aveva una sua ben salda organizzazione sovra comunale, le”Congreghe” di valle in cui tutti i comuni erano rappresentati funzionavano e anche bene.
In val Maira l’ultima volta che la Congrega si è riunita è stato nel 1645 e gli statuti confermati da Carlo Emanuele I che la prevedevano non sono mai stati aboliti.
Perché non prendere spunto da quell’eccellente modello organizzativo? Sarebbe molto meglio pensarci noi prima che dal centro ci paracadutino soluzioni pensate in qualche palazzo.
Manteniamo gli attuali Municipi (tutti!) che garantirebbero una presenza capillare delle istituzioni e potrebbero essere il luogo in cui le comunità locali si confrontano e organizzano, magari con momenti di democrazia diretta, mentre un Comune che aggreghi buona parte degli attuali avrebbe una dimensione tale da permettere un corretto funzionamento della democrazia rappresentativa, magari reintroducendo un sano metodo proporzionale nella composizione di consigli e esecutivi, metodo che in piccole comunità consente il coinvolgimento di tutti.
Il maggioritario è strumento di governo delle masse, non funziona dove l’approccio è di tipo comunitario.
Per la fascia pedemontana poi occorre capire se sia meglio mantenerla nell’ambito di valle, oppure trovare anche li aggregazioni trasversali che permettano maggiore efficienza nella gestione di problemi e dinamiche diverse dal monte, penso alle numerose aree artigianali di fondovalle, ai problemi di una immigrazione che assume dimensioni importanti, ai collegamenti , ecc., mantenendo sinergie col resto delle valli.
Per il Monte è urgente fare una seria e corretta riflessione di tipo organizzativo per poi calarla in modo saggio sul piano delle soluzioni politiche praticabili.
Perché non provare a ragionarci da quassù?

Mariano Allocco

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