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25 giu 2025

Perché l’Iran è indifendibile

di Luciano Caveri

Solo in Italia può capitare che ci siano aree che potremmo vagamente definire progressiste (termine nel tempo sempre più scivoloso), che sembrano persino dare qualche giustificazione alla teocrazia iraniana.

Esiste in certi atteggiamenti un antimericanismo di fondo, che in Italia c’è sempre stato e un antisionismo in odio in Israele che spesso sfocia in certi casi in antisemitismo.

Ma il tema è più grande di me, che cerco di mantenermi fuori da estremismi di vario genere, che tendo a non più sopportare.

Sbaglia chi nega la volontà di Teheran di dotarsi di un’arma nucleare per distruggere in primis Israele e la sua scelta di fomentare nei Paesi vicini forme di terrorismo estremista, che alimentano odio indiscriminato per l’Occidente.

Su vocicostituzionali trovo un riassunto interessante sull’Iran, che propongo: “L’Iran è una nazione sciita. Lo sciismo è la seconda maggiore corrente dell’Islam. La prima corrente è quella più largamente diffusa, il sunnismo. Come è risaputo, queste due grandi tradizioni si dividono circa la successione dell’autorità del Profeta Maometto. Gli sciiti la fanno discendere dalla figlia Fatima e dal cugino, suo sposo, Alī ibn ʾAbī Ṭālib, considerato il primo Imam (guida). I sunniti invece rifiutano tale ragionamento, guardando alla moglie di Maometto e – per semplificare – considerano degno di essere proclamato Imam qualunque persona.

Ciò ha ricadute sul piano giuridico-istituzionale rispetto al governo della comunità islamica. Il sunnismo fa coincidere la guida religiosa con quella secolare. In questo caso il termine «teocrazia» appare decisamente calzante. Lo sciismo, invece, reputa necessaria una figura direttamente discendente dalla linea diretta di Alī. Qui, però, il problema, di estremo fascino per la sua portata escatologica: il dodicesimo Imam si sarebbe occultato nel nono Secolo per sfuggire alle persecuzioni del califfato sunnita. Ciò ha fatto venir meno una legittimazione di qualsiasi guida politica.

Da secoli, dunque, gli sciiti accettano obtorto collo le autorità politiche governanti. Per l’Iran, tuttavia, Ruhollah Khomeini elaborò la teoria del «giurista esperto»: deve governare una persona autorevole che sappia interpretare i precetti dell’Islam nella maniera più coerente possibile (ma mai perfetta), in attesa del ritorno dell’Imam. Su queste basi venne fatta la Rivoluzione del ’79 (destituendo lo Shah dell’allora Persia) e si regge l’attuale assetto costituzionale”.

La sostanza è che si tratta di una teocrazia con delle sue regole e mi par di capire che scalfirle non è così banale. Lo si vede dalla sceneggiata della manifestazione “per la vittoria” organizzata ieri dagli ayatollah con un dose di coraggio degna di miglio causa.

La teocrazia iraniana spicca di certo nel mondo per le violazioni dei diritti umani e le repressioni. Basata sul principio del velayat-e-faqih (governo del giureconsulto islamico), la Repubblica Islamica dell’Iran combina elementi teocratici e autoritari, con la Guida Suprema al vertice del potere.

Siamo di fronte a evidenti violazioni dei diritti civili e politici non giustificabili da chissà quale relativismo culturale. Facile ricordare come dissidenti , giornalisti e artisti, come il rapper Toomaj Salehi, rischiano condanne a morte o carcere per aver criticato il regime. In molti sono stati costretti all’esilio per evitare il peggio.

Le manifestazioni, come quelle seguite alla morte di Mahsa Amini nel 2022 per mano della “polizia morale”, sono state represse con violenza, causando centinaia di morti e arresti. Poche manifestazioni di piazza si sono svolte in Italia.

Le donne che protestano contro l’obbligo del velo, come la studentessa dell’Università di Teheran che si è spogliata in segno di protesta con la facile accusa di essere una pazza, subiscono arresti brutali.

Sono all’ordine del giorno processi iniqui, confessioni estorte con torture e condanne a morte per reati politici o vaghi insulti alla religiosità.

Nel mirino ci sono le donne e il caso più visibile sta nell’obbligo del velo, ma sono molte altre le restrizioni sui diritti delle donne e sono applicati dalla polizia morale (Gasht-e Ershad), spesso con violenza. Le proteste del movimento “Donna, Vita, Libertà” hanno evidenziato il rifiuto popolare di queste norme oppressive.

Le minoranze etniche e religiosec come i curdi, gli azeri, i baluci e i seguaci di fedi non sciite (es. baha’i) subiscono discriminazioni sistematiche, arresti e persecuzioni.

La sharia, interpretata in senso rigido e barbarico, giustifica punizioni come fustigazioni, amputazioni e lapidazioni. I tribunali rivoluzionari operano senza garanzie per gli imputati e le impiccagioni quotidiane con il pubblico sono una vergogna.

Certo il regime usa (e figurarsi in queste settimane!) la retorica anti-occidentale per giustificare la repressione interna, dipingendo i dissidenti come agenti stranieri. Ciò rafforza il controllo dei Pasdaran (Guardie Rivoluzionarie) e dei Basij, che dominano economia e politica.

Le sanzioni internazionali, pur colpendo l’economia, hanno rafforzato la narrazione del regime di un “Iran sotto assedio”, limitando le possibilità di riforme o meglio di un ritorno a qualche forma di democrazia.

Non si può non osservare crescente malcontento per corruzione, crisi economica e repressione, ma sembra mancare quello scatto necessario per far cadere il regime.

Mi auguro che ciò avvenga e penso con dispiacere quando, in manifestazioni studentesche al tempo del Liceo, venivano scanditi slogan a favore di Khomeini come liberatore dell’Iran.

Roba da vergognarsi, come chi da noi manifesta oggi a favore di Hamas e i suoi leader, aguzzini interni del popolo palestinese, legati a doppio filo con il regime degli ayatollah, come avviene per gli Hezbollah libanesi e gli Houti dello Yemen con le loro ramificazioni pericolose pure in Occidente.