Ci sono occasioni ripetitive che danno un senso alle cose e luoghi che valgono lo stesso ragionamento.
Mi è capitato spesso di partecipare all’apertura della strada che collega Valle d’Aosta e Savoia attraverso il Colle del Piccolo San Bernardo.
Un luogo simbolico per molte ragioni, che oggi è frontiera, ma non lo è stato per millenni e oggi men che meno con l’Unione europea.
Talvolta capita di doverlo spiegare a Roma, quando sorge il dubbio che la cooperazione transfrontaliera sia politica estera e come tale da limitare anche ad una Regione autonoma come la nostra.
Peccato che il famoso Trattato del Quirinale fra Italia e Francia del 2021 abbia ormai chiarito naturale rapporto di amicizia tra le comunità che vivono lungo la frontiera e il ruolo fondamentale delle collettività territoriali per sviluppare progetti comuni.
La versione attuale dell’apertura è semplice: quando l’innevamento lo consente, quasi sempre verso questo periodo dell’anno, le frese dell’Anas e quelle del Département sgomberano l’ultimo tratto e le autorità e gli amministratori festeggiano la fine della stagione invernale e la riapertura di questo collegamento storico, che affonda nella notte dei tempi, come dimostrato dagli archeologi.
In questo luogo dal clima artico, dove il tempo muta d’improvviso e la neve non stupisce in nessuna stagione (ricordo un Ferragosto con una nevicata epocale), si dimostra l’esistenza del famoso genius loci.
Genius loci è un'espressione latina che significa letteralmente "spirito del luogo". Questo concetto ha radici antiche, risalendo alla religione romana classica, dove il "genius loci" era considerato una divinità minore o uno spirito protettore di un luogo specifico.
Oggi, l'espressione è usata in un senso più ampio e figurato, soprattutto in ambiti come l'architettura, l'urbanistica, il design del paesaggio e la sociologia. Si riferisce all'atmosfera distintiva, al carattere intrinseco e all'essenza unica di un luogo.
Ecco alcuni aspetti chiave che definiscono il genius loci e che calzano a pennello per il Colle.
Ci sono, come dicevo, le vicende storiche, le tradizioni, le memorie collettive e gli eventi che si sono susseguiti in quel luogo, contribuendo a plasmarne l'identità. Questo vale anche gli elementi naturali (paesaggio, clima, morfologia del terreno) e artificiali (architetture, infrastrutture) che lo compongono e farò esempi per questo.
Esiste poi – forse l’elemento più descrittivo di un genius loci - l'insieme delle sensazioni, delle emozioni e delle percezioni che un luogo evoca in chi lo vive o lo attraversa. Non è solo ciò che si vede, ma anche ciò che si sente e si respira.
In sostanza, il genius loci è ciò che rende un luogo speciale e riconoscibile, diverso da tutti gli altri. Insomma: il Piccolo San Bernardo ha una sua personalità e non a caso stiamo lavorando, valdostani e savoiardi, attorno al rilancio dell’Ospizio che sorge oggi in territorio francese. La sua storia viene riassunta sul sito dell’Ospizio ed è una bella sintesi con due avvertenze.
La prima riguarda una certa resistenza francese ad ammettere, come storicamente accertato, che San Bernardo e non è affatto nato sulle sponde del Lago di Annecy, come inventato da nobili locali, ma è di certo valdostano.
La seconda è che mentre la paternità dell’Ospizio del Gran San Bernardo al confine valdovallesano è di certo stato fondato dal Santo, su quello del Piccolo siamo forse su di un aspetto più leggendario.
Ma leggiamo il testo indicato: ”Saint Bernard, archidiacre d’Aoste, vers 1050 environ aurait d’abord établi au mont Joux (ancienne dénomination du col du grand St Bernard), un hospice et une église desservie par des religieux dépendants du monastère de St Pierre en Valais. Ensuite, d’après la légende, il aurait fondé un nouvel hospice à Colonne-Joux (ancienne dénomination du col du Petit St Bernard). À travers ces constructions, notre saint personnage rétabli la sécurité sur les 2 grands cols alpins, en assurant l’hospitalité et le service du culte".
Prosegue il racconto: ”L’hospice de Colonne-Joux fut confié en 1113 à l’ordre des moines de St Gilles de Verrès. Pourtant, vers cette époque la bâtisse menace ruine et St Pierre II, archevêque de Tarentaise, aurait abandonné l’édifice d’origine pour en faire construire un autre 1km plus au Sud où il se situe actuellement”.
Fatemi dire, essendo di Verrés, che la vera dizione è canonici, non monaci.
E poi: Vers 1466 et jusqu’en 1752, l’hospice fut uni à la prévôté du Grand St Bernard, et géré par les moines augustins de ce col”.
Insomma c’è stato in un certo momento di perfetta simmetria. Prosegue il testo: ”Le bâtiment fut hélas ruiné à plusieurs reprises par de troupes françaises et espagnoles qui traversaient le col. Jean Duclos, prieur de l’église de Séez, activa une reconstruction remarquable après 1691. Après 1752, du fait de la séparation du Valais de la Savoie, c’est l’ordre de St Maurice et Lazare qui prend possession du bâtiment. La révolution française et l’occupation Napoléonienne laissent à nouveau l’hospice en ruine en 1812. Le bâtiment est reconstruit entre 1826 et 1836 sous l’impulsion du commandeur de l’ordre des mauriciens, Aimé d’Entrèves et il connu ensuite une ère de prospérité. Puis la fréquentation impose l’agrandissement de la construction pour l’amener dans son volume actuel.
En 1860, arrive un personnage emblématique de l’hospice, l’abbé Pierre Chanoux, surnommé l’ange de la montagne. Il y a assuré, été comme hiver, l’hospitalité pendant 50 ans, acccompagné de Ruitor, son fidèle chien St Bernard. « L’ami des fleurs, des hommes et de l’Alpe » fonda également un jardin Alpin et fit interdire la chasse autour du col. Il mourut là-haut, à l’âge de 80 ans en 1909. Il repose dans la chapelle située à côté du jardin Alpin.
Le col est le théâtre de durs affrontements pendant la seconde guerre mondiale, et le recteur Camos est contraint de quitter les lieux. Le bâtiment sera dévasté. Un long intermède suivra ensuite, laissant les ruines du bâtiment abandonnées dans les méandres des conflits juridiques entre France et Italie.
En 1982, les ruines devenant menaçantes, le maire de Séez prit un arrêté de péril mettant en demeure le propriétaire de démolir cet édifice, provoquant l’émoi des populations riveraines. En 1985, une coopération entre les Rotary club italiens et français amorce un début de réhabilitation. Fort heureusement, en 1993, un programme d’aménagement du col, initié par les collectivités riveraines avec les financements européens, permet la réhabilitation du bâtiment. C’est ainsi que depuis l’été 1995, rénové et équipé, il est redevenu ce qu’il était, l’âme du col!"
Aggiungo io che l’Ospizio del Piccolo San Bernardo passò sotto la gestione degli enti locali nel 2008, quando fu acquistato dal Groupement Européen d’Intérêt Économique (GEIE) del Colle del Piccolo San Bernardo, un organismo transfrontaliero costituito dalla Regione Valle d’Aosta e dal Dipartimento della Savoia.
E ora, visto lo stato di degrado della costruzione, per altro parzialmente vuoto, si sta lavorando su di un nuovo progetto per avere un Ospizio rinnovato in questo nuovo Millennio.