Come far funzionare il ponte fra generazioni e dunque rendere virtuoso il passaggio di testimone fra generazioni.
Capita su questo tema così importante di leggere lo stesso giorno due pensieri ben articolati.
Il primo di una persona che ho conosciuto, Pier Luigi Celli, quando era Direttore generale della RAI ed io deputato, e fu una conversazione amabile e utile. Oggi ultraottantenne mantiene una grande lucidità.
Ragiona su Huffpost sui giovani e ne propongo qualche stralcio: “Presi da problemi cosmici, per risolvere i quali sentiamo di non avere alcuna possibilità reale di intervento, stiamo perdendo la sensibilità per un problema che rischia di precludere anche residue speranze in un futuro meno cupo. Il tema qui si rifà, in particolare, al vuoto crescente di responsabilità che le generazioni adulte stanno coltivando rispetto ai giovani destinati a crescere in un deserto di certezze.
Un vero fallimento, di fatto, che trascina dietro di sé, nel vuoto e nell’incompetenza crescennte di coloro che dovrebbero preoccuparsene per ruolo e magari impegnarcisi per sapienza, il destino di intere generazioni giovanili.
Queste avrebbero bisogno più che mai di sentire il calore di una generazione adulta che capisse quanto siano in difficoltà quelli che si affacciano oggi, più giovani e inesperti, su tempi tumultuosi, in cui rischi e imprevisti stanno minando gli assetti di tradizione, le regole del gioco, lo stesso valore del loro curriculum di studio”.
Noto questa fibrillazione e l’assenza di occasioni strutturate. Più avanti Celli riflette: “Quello che servirebbe, in realtà, in mancanza di una visione alta e di progetti coraggiosi delle istituzioni preposte, è la capacità di dare vita a una generazione di buoni maestri che siano in grado di prendersi cura di quello che invece stiamo drammaticamente perdendo.
Ma la perorazione, vagamente retorica, intorno al destino di generazioni di giovani che né la scuola né il lavoro si prendono in carico fino in fondo si scontra con una realtà di egoismi ormai ben radicati, che si assolvono per la responsabilità del loro distacco dal problema annegandola nella inevitabile mancanza di tempo”.
Infine un grido: “Un maestro potrebbe spiegare loro che il tempo va curato senza stress, abituando i suoi interlocutori a ragionare con un pensiero critico e non omologato e, insieme, ad avere ben chiaro che in una età tra i venti e i trent’anni, l’unico vero fallimento è stare a guardare. C’è un ruolo affascinante per le generazioni più adulte, che aiuterebbe a biodegradare il loro complesso di colpa. Basterebbe un po’ di generosità lungimirante. E la coscienza di stare facendo qualcosa che, a dispetto di come stanno andando le cose, sa dare ancora credito alla speranza”.
Quasi in contemporanea leggo sul Corriere lo scrittore Paolo Di Stefano, che propone il rovescio della medaglia: “Papa Francesco, in un video rimasto finora inedito, invitava i ragazzi all’ascolto. Una dimostrazione in più della sua sensibilità verso i problemi contemporanei. La questione dell’ascolto è all’ordine del giorno: non c’è libro di psicologia che non ne parli. L’ascolto è un mestiere, un’arte, persino una vocazione, ma è, in primo luogo, un esercizio, una sorta di disciplina. Abituarsi ad ascoltare il compagno, l’amico, il professore che parla”.
L’autore cita un’impressionante serie Netflix - la storia di un ragazzino che uccide una sua coetanea - che mi ha molto turbato: “La serie «Adolescence» è, tra l’altro, un terribile atto d’accusa ai genitori incapaci di ascoltare e capire. Del resto, è sempre stato complicato, per i genitori, interpretare i malesseri dei figli; è sempre stato difficile per una società tener conto delle esigenze delle nuove generazioni. È però diventato quasi impossibile decifrare il silenzio o il mutismo (la forma patologica del silenzio) a cui abbiamo educato i nostri figli e le nostre figlie. Non più il conflitto, la protesta aperta e urlata, ma la conciliazione complice e muta. È una questione che riguarda le famiglie e la società. L’ascolto, ma anche il silenzio, sono una faccenda politica”.
Due articoli che si incrociano.