Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
05 nov 2023

Parole in politica

di Luciano Caveri

La politica italiana concentra, per responsabilità dei politici e dei commentatori che se ne occupano, determinati periodi a parole specifiche. Facile immaginare che la più gettonata in questa stagione sarà “premierato”. Il Governo Meloni, motu proprio in una logica dirigista e autocentrata (la Meloni pensa al suo futuro…), ha lanciato una svolta presidenzialista che non stupisce e su cui avrò modo di esprimermi quando la riforma approderà alla discussione parlamentare. Questa storia delle parole mi ha sempre appassionato e noto con piacere che ormai si usa in modo diffuso quello stesso metodo che molti di noi usavano – io lo facevo per l’Università – con schemini riassuntivi, oggi maturati in nuove modalità espressive. Ad esempio il Graphic Recording, che una società che se ne occupa per seminari, conferenze e – beccatevi l’inglese – per speech e talk così definisce: “Le idee espresse da uno speaker vengono amplificate a beneficio del pubblico grazie alla loro visualizzazione in tempo reale, sketchandole su grandi superfici di carta o con la proiezione di un disegno digitale”. Confesso che sketchandole non so bene cosa significhi, ma immagino che abbia a che fare con sketch nel senso di schizzo, disegno. Mi ha fatto sorridere ricordare quanto scritto per Treccani alcuni anni fa da Michele A. Cortelazzo, che fotografava termini significativi, che hanno segnato la politica italiana e ne scrisse Enrico Letta, dimostratosi nel tempo migliore come politologo che come politico: “Vaffa, rottamazione, ruspa. Tre parole, tre progetti politici a declinarle, tre leader forti a incarnarle: Beppe Grillo, Matteo Renzi, Matteo Salvini». Si tratta, secondo quanto commenta Letta, di messaggi elementari, ma di successo, che distruggono una regola fondamentale del confronto politico democratico: il riconoscimento reciproco delle forze politiche. «Rivolgersi all’avversario, quale che sia, evocando il vaffa, volendone fare rottami o minacciando di usare la ruspa, sottintende, nemmeno troppo indirettamente, l’intento opposto: la piena delegittimazione. È, dicevo, un fenomeno inedito nella storia repubblicana»”. Ancora oggi, specie su rottamazione, c’è chi ancora indugia e più o meno risuona quanto disse, anni fa, proprio Renzi, che fu poi, malgrado l’età, abbastanza…rottamato. Lo cita Cortellazzo: “L’uso di Renzi della parola rottamazione (ed affini), risale almeno al 2010, quando l’allora sindaco di Firenze la utilizza in un’intervista a Umberto Rosso apparsa il 29 agosto nelle pagine fiorentine di «Repubblica»: «Dobbiamo liberarci di un'intera generazione di dirigenti del mio partito. (…) Basta. È il momento della rottamazione. Senza incentivi». In quei mesi, Renzi utilizza tutta la famiglia lessicale legata al verbo rottamare: per esempio, pochi mesi dopo (5 novembre 2010), dice a Marco Odorisio del «Corriere della sera»: «Capisco che i tacchini non manifestino grande entusiasmo per il Natale, e che qualche rottamando si sia risentito. Ma io parlavo di rottamazione delle carriere politiche, mica delle persone». Il termine resta brutto e nacque negli anni della motorizzazione in Italia e dunque nei gloriosi anni Sessanta ed era – lo ricorda sempre lo stesso autore per Treccani - ‘raccogliere rottami di metallo per riutilizzarli in fonderia’ e poi, nel senso più particolare di ‘portare a demolire un’auto vecchia e inquinante’; mentre è degli anni Novanta la diffusione del significato, ancora più specifico, di ‘favorire la demolizione di auto vecchie e inquinanti, concedendo un incentivo economico, pubblico o privato, per l’acquisto di auto nuove’ (e da qui ulteriori estensioni nell’ultimo ventennio, in riferimento a diversi tipi di sanatorie a pagamento, come la rottamazione delle cartelle esattoriali, per quella che ufficialmente si chiama «definizione agevolata delle pendenze fiscali»). Spiega Cortellazzo: “Il salto semantico fatto fare da Renzi è stato quello di attribuire rottamare e rottamazione non più a cose o entità astratte e collettive, ma a persone. Certo, come abbiamo visto, con l’esplicita sottolineatura del fatto che intendeva parlare delle carriere politiche e non delle persone. Ma ben presto, soprattutto nei giornali, rottamare è stato proprio riferito alle persone. Resto convinto che ci voglia rispetto per le persone e che il passaggio delle competenze deve avvenire con un’alleanza fra le diverse generazioni. Il resto rischia di essere solo retorica con uno scopo preciso: liberarsi di avversari per farsi spazio.