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16 lug 2020

Se Aosta piange, Roma non ride

di Luciano Caveri

Confesso che lo sconforto talvolta appare come un fantasma molesto. Lo è certamente per la situazione valdostana su cui ho perso gli aggettivi adatti ad illustrare una situazione che va presa in fretta in mani sicure, perché altrimenti le previsioni più cupe non basteranno a descrivere il futuro. L'ultima tegola è quella della Casa da gioco di Saint-Vincent, dopo una sentenza della Corte d'Appello di Torino che cassa il concordato ormai avviatissimo. Se Aosta piange, Roma non ride. Leggevo Paolo Mieli sul "Corriere della Sera": «La vicenda del ponte di Genova e del rapporto con la famiglia Benetton ci rivela in fin dei conti soprattutto una cosa: Giuseppe Conte si sta appalesando come uno dei più straordinari illusionisti della nostra storia. Ipnotizzata la sua (peraltro consenziente) maggioranza, annuncia, dice, si contraddice, rinvia, alla fine poi ricomincia riportandoci al punto di partenza».

«Non esiste ormai più un solo punto su cui qualcuno nella maggioranza si attenga al principio di realtà - prosegue Mieli - Prendiamo il dibattito sugli aiuti europei (di cui, sia chiaro, dipendesse da noi faremmo richiesta all'istante). Quel che sconforta sono le argomentazioni messe in campo: tali aiuti devono essere donati e, nel caso si configurino come prestiti, va garantito che siano senza "condizionalità". I Paesi che pretenderebbero di ridurne l'ammontare e verificare come quei soldi saranno spesi, vengono descritti come egoisti, avidi e insensibili alla causa europea. Perché insensibili? Per il fatto che - se la Comunità non ci regala quei soldi all'istante o non ce li presta alla maniera che noi pretendiamo - noi non faremo nulla per impedire che vada a monte l'intera costruzione europea. Conta poco che noi quei soldi non sappiamo neanche bene come spenderli. E che probabilmente una parte li butteremo via. L'importante è prenderli. Fino a quando? All'infinito?». Questa politica del rinvio e della mancanza di qualunque visione per il futuro, se non un mare di promesse e "provvedimenti manifesto" dal chiaro contenuto propagandistico, ci danneggiano e nessuno è più in grado di distinguere realtà e fantasia. Sul punto annota Mieli: «Ammesso che fosse ammissibile ragionare in questo modo a marzo, aprile, nell'esaurimento nervoso da crisi pandemica, oggi forse dovremmo definire meglio cosa noi, con le nostre forze, siamo pronti a fare per il nostro Paese oltre a spendere i soldi che riusciremo a farci dare dall'Europa. Al momento non si vede all'orizzonte neanche un'idea di qualcosa che ci imponga di risanare ciò che va risanato. Siamo solo capaci di spendere facendo debito, debito e ancora debito. Un'attitudine che almeno trenta o quarant'anni fa serviva a render saldi gli accordi tra partiti. Oggi non c'è più neanche quello». Ma bisogna resistere nel fortino del Governo, perché fuori c'è "il Male" ed il Male, paradossalmente, è l'elettorato. Lo ricorda argutamente Mieli nella parte finale sul suo articolo: «Su un solo dettaglio l'accordo tra Partito Democratico e Cinque Stelle appare granitico: quello di un sistema elettorale che renda l'attuale stato delle cose immodificabile. Un sistema per fare in modo che sia impossibile per l'elettore scegliere una maggioranza e un programma di governo come tuttora accade per sindaci e presidenti di regione. Lo scopo è quello di agevolare al massimo i rimescolamenti parlamentari divenuti da tempo l'unica, vera specialità della sinistra italiana. Il tutto accompagnato da spudorate ammissioni del vero motivo per cui si procede in questa direzione: disarticolare l'attuale opposizione e impedirne la vittoria. Qui non abbiamo niente da dire su coloro che negli ultimi quarant'anni sono rimasti coerentemente proporzionalisti. Ma nei confronti di coloro che ai tempi si iscrissero con giubilo alle grandi tribù del maggioritario, vorremmo suggerire una riflessione in extremis non tanto sul loro cambiamento di idee (le idee si possono sempre, a volte si devono modificare) quanto sulla sospetta unanimità di tale trasformazione. Un fenomeno non nuovo nella storia d'Italia. Che è arduo annoverare tra le caratteristiche migliori della nostra tradizione». Anche in Valle cascherà l'asino sulla legge elettorale. Si è seguita supinamente la storia della preferenza unica, che ora creerà ancora più caos dell'esistente. E' stato spacciato come il tema risolutore contro voto di scambio e contro le squadrette controllabili delle tre preferenze. Sarebbe bastato introdurre il voto elettronico per far sparire ogni dubbio, ma si sono ascoltati quelli che invocavano brogli e hacker scatenati e così ci troviamo con una legge elettorale deprimente.