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25 dic 2019

Il presepe

di Luciano Caveri

Ormai con il Natale ci sono cose collegate e di alcune si potrebbe fare a meno. Una di queste - parrebbe crescente - è la storia ideologica di brandire il presepe come un'ascia di guerra. Da una parte ci sono quelli che non lo vogliono nel nome - ad esempio in Francia - della laicità dello Stato e ne vietano l'installazione nei Comuni, cui si accompagnano coloro - ad esempio in campo islamico - che chiedono che non si mettano i presepi nelle scuole perché simbolo di un'altra confessione. Esattamente dall'altra parte ci sono coloro che, per ragioni inverse, spingono sul presepe per riaffermare le radici cristiane e per ribadire che chi viene qui da noi può fare quello che vuole, ma questo non può portare a disconoscere tradizioni secolari.

Il mio pensiero è noto e non brandisco nulla nel dire che sono nato e cresciuto con il presepe, l'ho fatto per molti anni da bambino e da ragazzino e figura sempre in casa, anche se in maniera meno ampia, in forma stilizzata. La laicità dello Stato - mi rifaccio al caso francese - è cosa sacrosanta e va bene santificare le feste di tutti coloro che praticano religioni riconosciute ma non si capisce bene certa logica di tabula rasa. Nella scuola stesso ragionamento: in una classe di bambini con diverse religioni o senza un credo non esiste nulla di male a mettere un presepe, narrandone la storia ed il significato, e va fatto con garbo e senza tentativi di lavaggio del cervello di chicchessia. Nel caso di bambini e ragazzi ci riferiamo a generazioni che sul Web, malgrado ogni controllo parentale, vedono di tutto ed il suo contrario e dunque non credo che un bambinello con famiglia e simbolistica varia li possa impressionare. Papa Francesco lo ha detto con la semplicità che gli è propria, sdoganando anche l'albero per evitare ulteriori guai fra fautori del presepe e quelli dell'albero addobbato: «Il presepe e l'albero toccano il cuore di tutti, anche di coloro che non credono, perché parlano di fraternità, di intimità e di amicizia, chiamando gli uomini del nostro tempo a riscoprire la bellezza della semplicità, della condivisione e della solidarietà. Sono un invito all'unità, alla concordia e alla pace; un invito a fare posto, nella nostra vita personale e sociale, a Dio, il quale non viene con arroganza ad imporre la sua potenza, ma ci offre il suo amore onnipotente attraverso la fragile figura di un Bimbo. Il presepe e l'albero portano quindi un messaggio di luce, di speranza e di amore». C'è altro da aggiungere? Forse che non bisogna avere paura delle contaminazioni culturali a condizione che non ci siano diktat o divieti, che fanno a cazzotti con il buonsenso e pure con il Diritto. C'è un bel racconto di Gianni Rodari, che è meglio di mille spiegazioni e prevede anche tre conclusioni possibili, io ho scelto quella che mi piace di più.

Allarme nel presepe Una volta, mancava poco a Natale, un bambino fece il suo presepio. Preparò le montagne di cartapesta, il cielo di carta da zucchero, il laghetto di vetro, la capanna con sopra la stella. Dispose con fantasia le statuine, levandole una per una dalla scatola in cui le aveva riposte l'anno prima. E dopo che le ebbe collocate qua e là, al loro posto - i pastori e le pecore sul muschio, i re Magi sulla montagna, la vecchina delle caldarroste presso il sentiero - gli sembrò che fossero poche. Restavano troppi spazi vuoti. Che fare? Era troppo tardi per uscire a comprare altre statuine, e del resto lui di soldi non ne aveva tanti... Mentre si guardava intorno, in cerca di un'idea, gli capitò sotto gli occhi un altro scatolone, quello in cui aveva messo a riposo, in pensione, certi vecchi giocattoli: per esempio, un pellerossa di plastica, ultimo superstite di un'intera tribù che marciava all'assalto di Fort Apache... un piccolo aeroplano senza timone, con l'aviatore seduto nella carlinga... una bamboletta un po' "hippy", con la chitarra a tracolla: gli era capitata in casa per combinazione, dentro la scatola del detersivo per la lavatrice. Lui, naturalmente, non ci aveva giocato mai, i maschi non giocano con le bambole. Però, a guardarla, era proprio carina. Il bambino la posò sul sentiero del presepe, accanto alla vecchietta delle caldarroste. Prese anche il pellerossa, con l'ascia di guerra in mano, e lo collocò in fondo al gregge, presso la coda dell'ultima pecora. Infine appese con un filo l'aeroplano e il suo pilota a un alberello di plastica, abbastanza alto, che una volta era stato un albero di Natale, di quelli che si comprano ai "Grandi Magazzini" e trovò il posto anche per loro, sulla montagna, non lontano dai re Magi e dai loro cammelli. Contemplò soddisfatto il suo lavoro, poi andò a letto e si addormentò subito. Allora si svegliarono le statuine del presepio. Il primo ad aprire gli occhi fu uno dei pastori. Egli notò subito che c'era qualcosa di nuovo e di diverso nel presepio. Una novità che non gli piaceva troppo. Anzi, non gli piaceva per niente.

  • «Ehi, ma chi è quel tipaccio che segue il mio gregge con in mano un'accetta? Chi sei? Che cosa vuoi? Vattene in fretta, prima che ti faccia azzannare dai miei cani».
  • «Augh» fece per tutta risposta il pellerossa.
  • «Come hai detto? Senti, parla chiaro, sai? Meglio ancora, non parlare per niente e porta il tuo muso rosso da un'altra parte».
  • «Io restare - fece il pellerossa - augh!».
  • «E quella scure? Che ci fai, dì un po'? Ci accarezzi i miei agnelli?».
  • «Scure stare per tagliare legna. Notte fredda, io volere fare fuoco». In quel momento si svegliò anche la vecchina delle caldarroste e vide la ragazzetta con la chitarra a tracolla.
  • «Dico, quella ragazza, che specie di cornamusa è la vostra?».
  • «Non è una cornamusa, è una chitarra».
  • «Non sono cieca, lo vedo bene che è una chitarra. Non lo sai che qui sono permesse solo zampogne e i pifferi?».
  • «Ma la mia chitarra ha un bellissimo suono. Sentite...».
  • «Per carità, smettila. Sei matta? Ma senti che roba. Ah, la gioventù d'oggigiorno. Dammi retta, fila via prima che ti tiri in faccia le mie castagne. E guarda che scottano, perché sono quasi arrostite».
  • «Sono buone le castagne» - disse la ragazza.
  • «Fai anche la spiritosa? Ti vuoi prendere le mie castagne? Ma allora sei pure una ladra, oltre che una svergognata. Ora ti faccio vedere io... Al ladro! Anzi, alla ladra!». Ma il grido della vecchietta non fu udito. L'aviatore, infatti, aveva scelto proprio quel momento per svegliarsi e accendere il motore. Fece un paio di giri sul presepio, salutando tutti con la mano, e atterrò vicino al pellerossa. I pastori lo circondarono minacciosi:
  • «Cosa vuoi fare, spaventarci le pecore? Distruggere il presepio con le tue bombe?».
  • «Ma io non porto bombe - rispose l'aviatore - questo è un apparecchio da turismo. Volete fare un giretto?».
  • «Fallo tu, il giretto: gira bene al largo e non farti più vedere da queste parti».
  • «Sì, sì - strillò la vecchina - e mandate via anche questa ragazzaccia, che mi vuol rubare le mie castagne...».
  • «Nonnina - fece la ragazza - non dite bugie. Le vostre castagne, se me le volete vendere, ve le pago».
  • «Mandatela via, lei e la sua maledetta chitarra!».
  • «E anche tu, muso rosso - riprese il pastore di prima - torna alle tue praterie: non vogliamo predoni, tra noi».
  • «Né predoni né chitarre» aggiunse la vecchina.
  • «Chitarra stare strumento molto bello» disse il pellerossa.
  • «Ecco, l'avete sentito? Sono d'accordo!».
  • «Nonnetta - fece l'aviatore - ma perché strillate a quella maniera? Dite piuttosto alla signorina di farci sentire qualcosa. La musica mette pace».
  • «Facciamola corta - disse il capo dei pastori - o ve ne andate tutti e tre con le buone, o sentirete un'altra musica».
  • «Io stare qui. Ho detto».
  • «Anch'io stare qui - fece la ragazza - come il mio amico Toro Seduto. E anch'io ho detto».
  • «Io poi - fece l'aviatore - sono arrivato da lontano, figuriamoci se me ne voglio andare. Su, ragazzina, attacca, vediamo se la tua chitarra rabbonisce la compagnia...». La ragazza non se lo fece ripetere e cominciò a pizzicare le corde...

Ecco il finale prescelto! Al primo accordo della chitarra i pastori fecero per slanciarsi contro i tre nuovi venuti, ma una voce autorevole e severa li trattenne:

  • «Pace! Pace!».
  • «Chi ha parlato?».
  • «Guardate, uno dei tre Magi ha lasciato la carovana e sta venendo dalla nostra parte. Maestà, quale onore!».
  • «Il mio nome è Gaspare, non Maestà. Maestà non è un nome».
  • «Ciao, Gaspare» disse la ragazza con la chitarra.
  • «Buona sera, figliuola. Ho sentito la tua musica. Be', non si sentiva un gran che, con tutto quel chiasso. E ho sentito anche della musica migliore. Ma la tua non era da buttar via».
  • «Grazie, Gaspare».
  • «Augh!» fece il pellerossa.
  • «Salve anche a te, Toro Seduto, o Aquila Nera, o Nube Tonante, o comunque tu voglia essere chiamato. E buona sera a te, pilota. E a voi, pastori, e a te, nonnetta. Ho sentito il profumo delle tue castagne».
  • «Questa ragazzaccia me le voleva portar via...».
  • «Su, su, forse ti è sembrato. Non ha l'aria di una ladra».
  • «E questo tipaccio con l'accetta? - gridarono i pastori - Ci si presenta al presepio, con quel muso rosso?».
  • «Avete provato a chiedergli perché è arrivato fin qui?».
  • «Non c'è bisogno di chiederglielo. Si vede benissimo: voleva fare una strage...».
  • «Io avere sentito messaggio - disse il pellerossa - Pace agli uomini di buona volontà. Io stare uomo di buona volontà».
  • «Avete sentito? - disse allora Gaspare - Il messaggio è per tutti: per i bianchi e per i rossi, per chi va a piedi e per chi va in aeroplano, per chi suona la zampogna e per chi suona la chitarra. Se odiate chi è diverso da voi, vuol dire che del messaggio non avete capito nulla». A queste parole fece seguito un lungo silenzio. Poi si sentì la vecchina che bisbigliava:
  • «Ehi, ragazzina, ti piacciono le castagne? Su, prendi, e guarda che non te le vendo, te le regalo... E voi, pilota, ne volete? E voi signor Toro Volante, scusate, non ho capito bene il vostro nome, vi piacciono le castagne?».
  • «Augh» disse il pellerossa.

Bello, vero?