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25 dic 2019

L'albero di Natale

di Luciano Caveri

Inutile contarsi storie: il Natale è la festività più attrattiva, perché parte molto prima con un'evidente drammatizzazione, fatta di scelta degli addobbi (per chi li fa), di acquisto dei regali (che devi fare con suggerimenti subliminali e vale anche per chi deve farteli), con cene, "apericena" e bicchierate varie per farsi gli auguri e garantirsi la dieta da gennaio. Poi esiste un'equa ripartizione di vigilia e giorno canonico del 25, per me anche il compleanno, in cui ci si destreggia fra la parentela per fare socialità e ben sappiamo che ci sono occasioni in cui vorresti essere da solo come il perfido Scrooge di dickensiana memoria. E' indubbio che esista una "nevrosi da pranzo di Natale" in cui oltre a rischi gastrici si manifestano nervosismi da tavola con chi primeggia a dire la cosa sbagliata al momento giusto e si accendono fuochi di guerra. Da adolescente ribelle, quando la tempesta ormonale consente qualunque bizzarria per la comprensione di chi ti circonda («poi passerà con la crescita» - si commenta), avevo scelto di andare a sciare per reagire agli obblighi di protocollo, che ora considero un piacevole obbligo.

Adesso che siamo politicamente corretti verso l'ambiente ed il cambiamento climatico è questo il nuovo look diffusosi, in realtà tardivamente perché il riscaldamento globale è noto dal secolo scorso, ma alle mode non si comanda. Per cui bisogna muoversi con circospezione e già ringrazio del fatto che non ho problemi familiari nella definizione dei menu, non contando ancora su alcun vegano nel cerchio ristretto attorno a me. Lo scrivo conscio che questo mette qualche stigma negativo sulla mia genia, abituata a tradizioni enogastronomiche che persistono. Mi ha fatto morire dal ridere un articolo su "La Stampa" di Elena Stancanelli, dedicato ad una vecchia-nuova querelle attorno all'albero di Natale, simbolo nordico ma anche celtico, che ad esempio in Alto Adige viene combattuto - così ho letto - a colpi di presepe dalla popolazione di lingua italiana, visto che i sudtirolesi tifano di più per l'albero, anche se poi gli unici ad avere un museo ricchissimo sul Presepe a Luttach in Val Pusteria e dunque trattasi di polemica senza fondamento. Scrive la Stancanelli: «Il colpevolizzatore cieco gira su stesso, ha una benda sugli occhi e un enorme ditone puntato. Ogni tanto si ferma. Hai sbagliato, dice alla persona che capita sulla sua traiettoria. Conosce solo questa frase. Poi riprende a girare. Tu non lo sapevi che era cieco, né che conoscesse solo questa frase, quando l'anno scorso ti ha puntato il ditone contro: hai sbagliato, ha detto riferendosi al tuo albero di Natale vero. Eppure eri andato a comprarlo in un vivaio biologico che avrebbe devoluto il dieci per cento del ricavato di ogni albero per comprare un altro albero da piantare in un paesello africano. Lo avevi annaffiato con parsimonia ma costanza, avevi vietato ai figli di avvicinarsi per evitare che lo scioccassero, avevi addirittura messo i doni da un'altra parte per farlo stare tranquillo. E il giorno dopo la Befana lo avevi caricato in macchina e portato in campagna per ripiantarlo vicino a un platano che gli avrebbe fatto compagnia. Eri persino, inspiegabilmente, sicuro che se la sarebbe cavata. Hai sbagliato! E va bene, avevi pensato, quest'anno lo prendo di plastica. Anche se a nessuno piacciono le piante di plastica, tranne a chi arreda i Pronto soccorso degli ospedali. Ma ormai li fanno bene, sembrano uguali. Oppure lo prendo smaccatamente finto, di un colore bizzarro, lo faccio lilla quest'anno l'albero, e invece delle palle ci metto le mele renette e sulla punta un cornetto vegano. E aprendo il portabagagli della macchina per portare a casa il tuo albero lilla e vedendo fare capolino da sotto la moquette gli aghi dell'anno scorso che nessun lavaggio era riuscito a eliminare avevi sorriso, pensando che qualche volta la cosa giusta e la cosa più comoda coincidono. Come un allineamento dei pianeti. Ma quando già ti stavi rilassando è arrivato il colpevolizzatore: hai sbagliato anche quest'anno». Interrompo la lettura per un attimo, segnalando come il "colpevolizzatore" è un classico della commedia: è un essere eterno pronto con le sue certezze a menartela in modo fastidioso. Ogni scelta è soggetta a critica e a lezioncina pedagogica, perché "lui sa". In gran parte questa figura o questo figuro è imbevuto di certezze ideologiche, talmente granitiche da scegliere di scagliarsi senza pietà, quando tu - poverino - ti barcameni alla ricerca di un buona soluzione. Così Stancanelli chiude il pezzo: «Che mi è saltato in testa? Non lo sapevo che la plastica campa milioni di anni nella bocca delle balene, che il mio albero in un salotto di Settimo Torinese potrebbe essere fatale a una tartaruga alle Galapagos? Ci manca solo che ogni Natale dobbiamo smaltire tonnellate di roba color lilla con cui i festaioli appagano la loro ambizione di creare un atmosfera... Ma se la plastica non va bene e l'abete vero neanche, come lo faccio l'albero, vorrei chiedere al colpevolizzatore cieco che però nel frattempo si è rimesso a girare e soprattutto, come sappiamo, l'unica fase che conosce è "hai sbagliato". Dike, la figlia di Temi, era vergine e bendata. Era lei che amministrava la giustizia, senza guardare, per dovere di imparzialità. Ma come? La giustizia deve sapere, ascoltare, vedere. E soltanto dopo aver messo insieme tutti gli indizi e le prove decidere chi è innocente e chi è colpevole. Così sembrerebbe. E invece è il contrario. La giustizia è arbitraria e proprio per questo infallibile. Siamo noi irresponsabili nel sottoporre al criterio di giustizia la scelta dell'albero di Natale. O di cosa mangiare, quale mezzo di trasporto usare, che partito votare, quale libro leggere. Non è più bella la responsabilità? Non era meglio rispondere a se stessi della propria stupidità, che non a un tribunale?». E così sia, pensando che c'è chi in Germania - con zelo inquietante - vorrebbe si vietassero anche le luminarie natalizie per salvare il pianeta. Guardare la pagliuzza al posto della trave...