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25 nov 2019

Un mondo che manifesta

di Luciano Caveri

«Facciamo una manifestazione?». L'eco arriva anche dal mio passato. Da studente ad Aosta, ad Ivrea, a Torino ho protestato, dal Ginnasio all'Università. Ricordo certi brividi di piacere per esperienze di questo genere, che facevano parte dei riti di passaggio per l'età adulta. Visto che a scuola nessuno ce l'aveva mai insegnato, è proprio nelle Assemblee studentesche che mi sono cimentato per le prime volte nel parlare in pubblico. Tutto sommato si è trattato di una palestra utile, anche se gran parte delle proteste in sé - nei risultati fattuali - sortirono poca cosa. Ma emozioni e sentimenti si esprimono anche così, nella manifestazione, che ovvio non si esaurisca con questi primi cimenti.

Precisa, ad ampio spettro, la "Treccani": "Forma di protesta o espressione dei sentimenti di una collettività o di un gruppo di persone, attuata sfilando per le strade oppure radunandosi in massa in luogo pubblico, e rendendo noto mediante discorsi, slogan, scritte su cartelli e striscioni il proprio atteggiamento relativamente a determinati fatti politici, sindacali, sociali....". Da studente la manifestazione più divertente fu quando capitanai - direi nel 1977 o giù di lì - una riuscita protesta con tutto il Liceo classico "Botta" di Ivrea che, per solidarietà con noi pendolari sgridati dal preside perché arrivavamo in ritardo ad inizio lezione (ma la colpa era del ritardo dei treni!), si trovò davanti al Municipio per arrivare a scuola un quarto d'ora dopo la campanella. Fu molto divertente ed il più simpatico fu proprio il preside che mi chiamò a rapporto e colse la logica della protesta e mi disse, a tu per tu: «Trattiamo!». Da presidente della Regione provai il brivido nel 2007 di parlare a Roma ad una manifestazione sui temi della Montagna su di un palco allestito nientepopodimenoche ai Fori Imperiali e fu un bel momento, che si concluse con un bell'incontro al Senato, con l'allora presidente Franco Marini, fiero di essere un montanaro abruzzese. Certo che in quest'ultimo periodo ne abbiamo viste di manifestazioni: pensiamo ad un anno di "gilets jaunes" in Francia, alle grandi manifestazioni indipendentiste in Catalogna, agli inglesi in piazza contro la "Brexit" (e qualcuno a favore...) ed alle numerosissime manifestazioni sul cambiamento climatico nel solco di quel fenomeno mediatico che è Greta Thunberg. Spiccano le manifestazioni ad Hong Kong contro l'invadenza cinese, ma ora sfilano anche in Iran contro il rincaro della benzina come pretesto, come avvenuto in Cile con una popolazione stufa di Governi inetti ed in tanti altri Paesi le popolazioni si ribellano. In Italia, ricordando molte definizioni di proteste effimere del passato tipo "Onda", "Pantera", "Girotondini", "Forconi", flash mob vari, spuntano ora le "Sardine" (dicono di sé: «un pesce silenzioso, contrapposto agli urlatori dei comizi»). Si vedrà se si tratta di un fenomeno passeggero - ad uso elettorale per le regionali in una lotta al calor bianco con epicentro l'Emilia-Romagna - o se sarà qualcosa di più radicato. Oscillo fra curiosità e disinteresse. Curiosità perché in epoca di disimpegno vedere persone che si muovono e si mobilitano fa sempre piacere, chiunque lo faccia. Disinteresse quando le mobilitazioni interpretano l'incapacità di dialogo e le manifestazioni non servono per far sintesi ma per dividersi. Il caso "NoTav" e "ProTav" nelle strade torinesi non so se sia stata una vittoria della Democrazia o un suo fallimento. Perché in fondo la democrazia rappresentativa prevede che a risolvere i problemi siano anzitutto coloro che sono eletti per farlo e, quando non lo fanno nei tempi dovuti assumendosene la responsabilità, si infiammano le piazze e questo può essere nobilissimo, ma ciò vale caso per caso, senza santificare la manifestazione di per sé stessa.