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01 giu 2019

La gioia delle nascite

di Luciano Caveri

Nasce in queste ore un bimbo di un una coppia di amici. Dirò solo, per la privacy che ormai morde, che si chiama Sergio Carlo ed è la gioia di mamma e papà, cui va tutta la mia simpatia. Posso prevedere che diventerà un grande musicista... Una nascita mi accende pensieri, non solo perché io stesso ho avuto la chance di vivere tre nascite con quella novità, ormai in voga, dell'inutile papà in sala parto bardato come un medico, ma perché ogni volta che sento dell'arrivo di un neonato è come se si accendesse una fiammella nel buio. Mia mamma era la seconda di tre sorelle, mio papà fra i più piccoli di otto fra fratelli e sorelle. Ognuno può portare esempi, che sia un papà o un nonno, di come la natalità contasse ed era ancora presente nel mio periodo, quello dell'epoca del "baby boom", e questo avveniva sull'onda dell'entusiasmo del dopoguerra e non solo sulla precedente vivace fertilità del tempo che fu.

Eppure, maledetti discorsi retorici sulla famiglia, la diminuzione drammatica delle nascite dovrebbe interessare tutti, ad eccezione di chi ritiene che la razza umana sia nel mondo un ingombro (ho già parlato degli "anti-natalisti", che dovrebbero essere banditi dall'umano consesso). Qui in Occidente, qui in Valle d'Aosta si rischia una vera e propria estinzione e non c'entra nulla il discorso retorico su troppe nascite nel Sud del mondo equilibratrici delle scarse nascite nel nostro Nord. Questo travaso non ha nulla a che fare con la salvaguardia di culture e di pensieri che, se non tramandati, finiranno per sparire ed è una diversità - che con tutto il rispetto per la foca monaca o il rospo raro - che mi interessa molto, perché ogni civiltà umana è una variante unica e irripetibile ed accettare supinamente la sua morte mi addolora. Ecco perché bisognerebbe - ed in Europa molti Paesi lo fanno - creare vantaggi reali e non piccole marchette a beneficio delle famiglie che decidono, non per motivi ideologici ma perché ci credono, avere famiglie che escano dallo striminzito figlio e mezzo (in Valle anche meno) che vota la società a vuotarsi di risorse e non seguite i guru della "decrescita felice" perché c'è molto veleno in certe teorie. Ecco perché mi auguro che in tanti decidano l'avventura fantastica di avere dei figli, superando le logiche preoccupazioni che ogni famiglia ha, specie di questi tempi in cui l'incertezza deborda. Lo dice Milan Kundera, quando osserva: «Avere un figlio significa manifestare un assoluto accordo con l'uomo. Se ho un bambino, è come se dicessi: sono nato, ho assaggiato la vita e ho constatato che essa è così buona che merita di essere moltiplicata». E' bello pensare che un giorno saranno i tuoi figli ad avere figli, tuoi nipoti, in una catena che assicura davvero il futuro e viene in mente quella poesia di un poeta turco nazionalizzato polacco, Natim Hikmet (1901 - 1963), intitolata "Prima di tutto l'uomo": «Non vivere su questa terra come un estraneo e come un vagabondo sognatore. Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre: credi al grano, alla terra, al mare, ma prima di tutto credi all'uomo. Ama le nuvole, le macchine, i libri, ma prima di tutto ama l'uomo. Senti la tristezza del ramo che secca, dell'astro che si spegne, dell'animale ferito che rantola, ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell'uomo. Ti diano gioia tutti i beni della terra: l'ombra e la luce ti diano gioia, le quattro stagioni ti diano gioia, ma soprattutto, a piene mani, ti dia gioia l'uomo!».