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06 dic 2018

La lettera a Babbo Natale e i bambini

di Luciano Caveri

Le mie letterine a Gesù Bambino, scritte per chiedere i regali di Natale che erano meno numerosi di quanto compriamo ai nostri bambini, non le ho più. Fa impressione pensare a come, in poco più di mezzo secolo, il mondo sia cambiato. Non lo dico con rimpianto: trovo che la memoria sia una preziosa alleata, ma bisogna evitare di vivere di soli ricordi e bisogna semmai continuare a mettere carburante nel motore della propria vita. Oggi i bambini sono meno di quanti fossimo noi, che eravamo figli del dopoguerra e di un mondo che ci teneva ad avere figli nelle proprie case e, se non poteva, sceglieva (e c'è ancora chi lo fa) la via generosa dell'adozione. Oggi invece - lo dico senza moralismi perché ognuno è libero di fare quel che vuole - conosco coppie che scelgono di non averne, pur non avendo problemi fisici, perché preferiscono avere un cane «che è meno impegnativo». Oppure ci si ferma ad uno, perché basta ed avanza per i problemi economici ed il ménage familiare e bisogna pur capirli, non è solo egoismo.

Così la natalità decresce e sono dei fessi coloro che vedono in questa decrescita qualcosa di positivo e viviamo in una realtà in cui - che tristezza! - i bambini sono una minoranza e crescono solo il numero delle persone anziane per via dell'aumento della probabilità degli anni di vita. Ovviamente questo nuovo equilibrio demografico è frutto di diverse circostanze, che non sono tecnicamente irreversibili, ma certo non si inverte la tendenza a parole ma con fatti concreti che dovrebbero - perché le leggi non sono giuste in sé ma servono per perseguire degli scopi - invertire questa tendenza che ci priva di quel principio biologico di un ricambio della nostra comunità. Discutevo, sere fa, con un amico che non ha una grande bagaglio culturale, ma un enorme buonsenso che gli viene da una famiglia contadina retta su alcuni principi cardine che si tramandano. Lui e sua moglie di figli ne hanno quattro e mi diceva: «Sai, alla fine se tutto va bene alla fine tutti noi campiamo una settantina d'anni, chi più e chi meno. Se non abbiamo qualcuno cui dare in mano il futuro che cosa ci stiamo a fare qui?». Parole semplici su di un tema complesso, indagato da sempre e una risposta certa su che cosa ci stiamo a fare non l'abbiamo, benché la questione sia stata indagato da filosofi, scienziati, artisti e tutti gli altri che lo hanno fatto nel tempo. Le tante risposte sono state frutto di quella nostra intelligenza che ci ha issato, nel bene e nel male, a livelli di riflessione che nessun altro essere vivente conosce, compresa questa questione del dopo di noi e la genitorialità. Cosa c'entra la letterina? C'entra perché di questi tempi ho la fortuna di avere il mio figlio più piccolo che la scrive ancora, indirizzata a Babbo Natale a poche settimane dai suoi otto anni. Lo fa come lo hanno fatto suo fratello e sua sorella, fino a quando un giorno, come loro, mi diranno che Babbo Natale non esiste. Già poche settimane fa il piccolo Alexis ci ha presi da parte e con i suoi occhi limpidi ci ha detto: «Federico sostiene che sono i nonni a portare i regali, perché Babbo Natale non esiste». Brivido e colpo di reni di mia moglie: «I nonni sono morti: come farebbero?». Si riferiva a nonno Sandro, mio papà, ed a nonno Ernesto, il suo. Lui - senza pensare all'eventuale ruolo delle nonne vive e vegete - è parso rifletterci e ci ha dato ragione, non so per quanto tempo ancora e ci ha abbracciati con affetto, come se gli avessimo tolto un peso. Chissà poi come sarà andata con questo Federico, seminatore di dubbi... Quella sua letterina, in cui per altro ammette di aver esagerato nelle richieste di doni («Ma Babbo Natale è ricco e gli ho scritto che se non porta tutto non me la prendo!») dovrebbe essere un esempio fra milioni per dire quanto la demografia in picchiata non sia solo un problema economico e culturale, ma sia qualcosa di più caldo, più intimo, più affettivo, che riguarda il nostro destino e la nostra umanità più profonda. Oriana Fallaci nel suo "Lettera a un bambino mai nato", frutto di una vicenda personale che mai le diede la gioia della maternità ha scritto: «Molte donne si chiedono: metter al mondo un figlio, perché? Perché abbia fame, perché abbia freddo, perché venga tradito ed offeso, perché muoia ammazzato alla guerra o da una malattia? E negano la speranza che la sua fame sia saziata, che il suo freddo sia scaldato, che la fedeltà e il rispetto gli siano amici, che viva a lungo per tentar di cancellare le malattie e la guerra».