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18 ott 2018

Un manovra finanziaria da... paura

di Luciano Caveri

Per capirci sin da subito: il "Def", di cui tanto si discute, è un documento mostruoso nella sua complicazione - ad esempio scorrendo i numerosi file con velocità non ho ancora trovato riferimenti alla Valle d'Aosta ed alle Autonomie speciali - che va perciò studiato in profondità, anche se è solo la premessa indispensabile per l'insieme di leggi che compongono la manovra finanziaria propriamente detta. Infatti il "Documento di Economia e Finanza - Def" è fatto di testi e tabelle all'interno dei quali vengono messe per iscritto tutte le politiche economiche e finanziarie selezionate, decise ed proposte dal Governo per l'anno successivo e quelli seguenti. Sottoposto al Parlamento, viene poi trasformato, come dicevo, in una legislazione articolata che - fatti salvi i saldi e le impostazioni generali - viene anch'essa sottoposta all'iter parlamentare durante il quale, con apposita copertura finanziaria, possono essere approvati emendamenti modificativi.

Ma in realtà le burrasche europee contro le scelte italiane danno il senso di come il "Def" dia già indicazioni precise e abbiamo già visto come certe scelte lascino perplessa non solo Bruxelles ma chiunque abbia un minimo di senno, perché la politica applicata all'economia non consente guasconate e insulti a chi in Europa e in Italia suoni l'allarme. Leggevo ieri sul "Corriere della Sera" i commenti acuti di Alberto Alesina e di Francesco Giavazzi: «L'Italia corre rischi come raramente ne ha affrontati nella storia degli ultimi settant'anni. Il fatto che il governo giallo-verde continui a godere di un'ampia popolarità è una magra consolazione: Domingo Perón, e più recentemente i presidenti Kirchner, erano acclamati da folle sterminate, ma ciò non ha impedito che l'Argentina si trasformasse da uno dei Paesi più ricchi al mondo solo un secolo fa ad uno in cui il reddito pro capite è oggi simile a quello del Messico. Siamo come sulla cresta di un ghiacciaio: un altro passo falso e potremmo cadere nel vuoto». Metafora alpinistica ben comprensibile per i valdostani e che dà il senso di vertigine di chi in sostanza guarda più al risultato elettorale che ai fondamentali dell'economia, dipinta come un terreno in cui cavalieri bianchi combattono loschi burocrati e economisti faccendieri alleati contro il popolo. L'Europa sarebbe - per chi rivendica logiche sovraniste - la quintessenza di manovre oscure e di lobbies di vario genere e, se l'Unione va riformata, immaginare di farne invece tabula rasa è una follia che mai digerirò. Proseguiamo la lettura: «Certo che l'Italia ha bisogno di crescita e di lavoro. Ma le misure adottate dal governo, prima che mettere a rischio i conti pubblici mettono a rischio proprio lo sviluppo e il lavoro. Non si cresce se si pone a carico di chi produce il peso di mantenere cittadini che vanno in pensione a 62 anni e poi (fortunatamente) ne vivono in media altri venti. Non si cresce se ci si illude che il lavoro aumenti in un gioco a somma zero limitandosi a sostituire con altrettanti giovani coloro che andranno prima in pensione. Non si cresce con una partecipazione alla forza lavoro di giovani e donne fra le più basse dei Paesi industrializzati. Non si cresce se si pone a carico di chi lavora il peso di sussidi di disoccupazione permanenti perché erogati senza strumenti efficaci per incentivare le persone a trovare una nuova occupazione. E per quanto riguarda le imprese, non si cresce se si puniscono le aziende che riescono a conquistare i mercati costruendo catene del valore internazionali, ad esempio investendo in Egitto per costruire lì un impianto per la trasformazione e la prima lavorazione del cotone. Non si cresce se si premia chi, invece che portare il made in Italy ovunque nel mondo, preferisce prosperare all'ombra di mercati protetti dallo Stato. Non si cresce se si perdonano gli evasori, aumentando le imposte a chi le tasse già le paga e le ha sempre pagate. Non si cresce se con annunci dissennati si fa capire che volentieri si lascerebbe l'euro, con l'unico risultato di seminare incertezza e far aumentare i tassi di interesse: per tutti, governo, imprese, cittadini. Non si cresce se invece di pensare a rafforzarsi integrandosi con i nostri partner nell'UE si guarda alla Russia, un Paese il cui il reddito pro capite è la metà di quello tedesco». In effetti lo scardinamento delle alleanze storiche e l'impronta anti-europeista non sono solo un problema economico ma anche politico, che fragilizza l'Italia, trasformandola nell'anello debole come lo è stata la Grecia con ricadute da brivido su cittadini e imprese. Argomentano Giavazzi e Alesina: «Il ministro Tria ha cercato di opporsi a questa legge di Bilancio discutendo sui decimali del deficit, un argomento che i cittadini non hanno capito. L'importante non sono i decimali ma la direzione in cui si muove la politica di bilancio. Il ministro Tria ha perso la battaglia dei decimali, e anche la guerra della politica fiscale. Tanto più che la spinta agli investimenti pubblici - quando verranno realizzati, considerando i tempi biblici di queste opere nel nostro Paese anche in situazione di emergenza come dimostra Genova - sarà cancellata tutta o in gran parte dall'aumento dell'incertezza che riduce investimenti privati e consumi. L'aumento dei tassi di interesse farà il resto». Campana a morto finale: «I segnali che l'Italia sta dando al resto del mondo sono molto preoccupanti. Non possiamo permetterci di far pensare a chi ci osserva che stiamo buttando a mare settant'anni di costruzione attiva dell'Europa, da Paese fondatore, per guardare ad est, a nazioni come la Russia ampiamente in crisi e non in grado nemmeno di risollevare se stesse. Per non parlare di aspetti ancora più preoccupanti sullo stato della loro democrazia. Quando scopriremo che il debito sarà insostenibile cosa faremo? Obbligheremo gli italiani a comprarlo? O speriamo in qualche amico proveniente dall'Est? E se anche fosse, a quali condizioni? Di manovre magiche gli italiani ne hanno viste in passato molte. Ancora una volta dall'illusione dei decimali e di una crescita per decreto, si dovrebbe passare a discutere di lavoro e sviluppo». Amen.