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17 lug 2018

Al capezzale dell'autonomismo

di Luciano Caveri

Chi conosca la storia travagliata dell'autonomismo valdostano dal dopoguerra ad oggi sa come i saliscendi non siano niente affatto una novità. Pensare che sia stata solo una strada lastricata di successo è una ricostruzione agiografica falsa e inutile, anche se - per mia fortuna, e talvolta con qualche ruolo - ho visto alcuni dei momenti d'oro, ma ho sempre pensato che ci fosse un'altra faccia della luna di cui tenere conto. Nulla è eterno, specie se non si è in grado di intercettare i tempi che cambiano, e se non esistono forme di condivisione sul da farsi, prima o poi qualunque creazione umana è destinata al declino ed i movimenti politici non fanno eccezione a questa regola. Basta guardare all'Italia ed al mondo per notare come i rivolgimenti siano un segno dei tempi ed a passare di moda ci si mette un battito di ciglia.

Al capezzale dell'autonomismo storico, oggi azzoppato e diviso, nella piccola Valle d'Aosta pare si agitino in molti per trovare soluzioni aggreganti. Impegno - per chi lo faccia in buona fede e non con logiche esclusivamente personalistiche - assai lodevole di per sé stesso alla ricerca di un futuro. Anche se prima o poi sarà opportuno sincronizzare gli orologi e scegliere la luce del sole, perché la notte (intesa anche come momento riservato prima di partire) porta consiglio ma poi si opera di giorno, perché ormai di questi tempi i progetti funzionano solo quando se ne avverte l'importanza pubblica e si tolgono le possibili nebbie che ne celano le intenzioni. Credo che nessuno, nel pieno rispetto della volontà popolare perché il voto è sacro anche se non sempre consapevole, possa pensare che la specificità politica della Valle d'Aosta sia da mettere al macero e l'autonomismo, che poi per me resta più il federalismo, perché una stella dovrà pur sempre indicare il percorso migliore senza accontentarsi. Ma trovo che qualunque strada si intraprenderà ci siano alcune cosette da dirsi. La prima è che la Politica (passo alla maiuscola) non è solo amministrazione, ma è la capacità - anche astratta - di pensare al futuro e costruirlo con idee e proposte che poi si potranno concretizzare. Questo significa studio, approfondimento, comparazione, scelte di campo, entusiasmi e delusioni: tutto quello che può nascere dentro una forza politica e nel confronto con altri. Sapendo - punto due - che non funziona più l'organizzazione tradizionale dei partiti, diventati comitati elettorali degli eletti o giganti elettorali dai piedi di argilla perché senza iscritti e militanti. Ci vogliono forme fluide e dinamiche che mettano assieme radicamento territoriale e presenza virtuale nella galassia elettronica o meglio digitale. Forme leggere e liquide che convivano con momenti più tradizionali in una terra di nessuno, che si esplora solo vivendo. La terza storia riguarda il nuovismo e la famosa "rottamazione". Se si crede nel passaggio di testimone fra generazioni e alla necessità che alle idee frizzanti dei giovani si affianchi la forza dell'esperienza maturata è questa la strada. Altrimenti chiudiamo pagine senza aprirne altre. Non c'è nulla di più pericoloso della mancanza di ricambio, ma, altro corno del problema, non c'è nulla di peggio di dilettanti allo sbaraglio che credono che si possa partire dal vuoto pneumatico, perché ogni dossier è una storia complessa che non può essere ricostruita solo a tavolino. La quarta questione, ben nota, è che non viviamo in un mondo nel quale siamo l'ombelico del mondo. Chi è autonomista-nazionalista valdostano lo sa bene e non vanta nessuna primazia su nulla, perché bisogna credere nelle Reti varie, che siano le Autonomie differenziate, le popolazione di montagna, le minoranze linguistiche e nazionali. Senza certi legami si è più soli e si fa una brutta fine, specie nei tempi grami, quando amicizie ed alleanze si dimostrano preziose. La quinta è "vivi e lascia vivere", nel senso che il pluralismo nei dibattiti è una necessità, cui si accompagnano - se la democrazia interna funziona e non è un suo simulacro - decisioni che devono essere frutto non solo di voti, ma anche di compromessi per avanzare. Nulla è mai impossibile, l'unico limite è il diktat o meglio la decisione già assunta che viene proposta solo per onor di firma e non perché si crea il fatto che ogni confronto, naturalmente fra persone informate perché gli approfondimenti non sono chiacchiere da bar, consente di centrare sempre di più il problema. La sesta ed ultima questione: la verità sui veti, vale a dire il rischio che tutto si inceppi perché - visti i tanti precedenti - ci siano personalismi a bloccare ogni forma di rinascita. Questi aspetti sono molto umani, ma funzionano se le obiezioni non sono caratteriali e legate a simpatie od antipatie, ma quel che contano sono i comportamenti avvenuti e le scelte fatte, che possono creare delle pregiudiziali che hanno caratteristiche fondamentali perché basate sul lealtà e fiducia (ed anche onestà, per non finire nei guai), che non sono capricci. Per cui, posti questi punti, si avanza con il cuore e con il cervello, sapendo che per scaldare gli animi dei valdostani non bastano retorica, promesse, proclami e neppure il solito clientelismo piacione ("do ut des"). Oggi capisco quanto ogni operazione seria sia difficile, ma è sempre meglio pensare che nulla sia impossibile, piuttosto che crogiolarsi in uno stato d'animo rinunciatario, barbottone e persino opaco.