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20 nov 2017

Lo "Zecchino d'Oro" compie sessant'anni

di Luciano Caveri

Gli anniversari possono essere belli o brutti, allegri o tristi, da ricordare o dimenticare. Ci sono anniversari personali, familiari, ufficiali, locali, mondiali: è certo difficile districarsi in una rete che - se ci si casca e non si è selettivi - potrebbe avvolgerci senza scampo. Così uno non fa in tempo a distrarsi ed ecco che lo "Zecchino d'oro" - la celebre gara canora per bambini - compie sessant'anni e questo dà il senso di come il tempo passi in fretta e si avverta con il crescere dell'età una scocciante accelerazione che non promette nulla di buono in barba ad ogni stucchevole celebrazione dell'invecchiamento. Si può dire, insomma, che sono cresciuto con questa colonna sonora prima a mio uso e poi con i miei figli, anche se - ça va sans dire - in condizioni molto diverse.

Da bambino la televisione era un elettrodomestico ingombrante, che ci metteva un sacco ad accendersi e pure a spegnersi, non c'era il telecomando e forse non ce n'era bisogno, perché i canali erano dapprima uno solo e poi due prima della loro moltiplicazione e negli anni clou dei "miei" collegamenti con l'"Antoniano" di Bologna le trasmissioni erano rigorosamente in bianco e nero. "Mago Zurlì", il compianto Cino Tortorella, morto nel marzo scorso, era un signore gentile in gonnella e calzamaglia che sapeva con garbo far parlare quei bambini che eravamo noi allora, cioè in generale più timidi e meno sfrontati di certi mostri di tenzoni canore che oggi vanno per la maggiore sulle televisioni private. Sono delle specie di mostri che si atteggiano ormai ad adulti e non basterebbero tonnellate di "sviluppina" (misteriosa sostanza talvolta evocata da mio papà quando mi dimostravo imbranato) per trasformare l'infanzia anni Sessanta in certi prodotti del nuovo Millennio. Rimpiango francamente la nostra ingenuità e quel tratto naïf "pane e salame" che ci era proprio, ben visibile nel coro dell'Antoniano diretto dalla signorina Mariele Ventre. Ma il simbolo di questo mondo analogico era un pupazzo, quello di Topo Gigio, che duettava con "Mago Zurlì" - e lo fece almeno per cinquanta edizioni - con la sua vocina e le sue battute che culminavano con il suo celebre: «Ma cosa mi dici mai?!...». Oggi, affetti da mirabolanti effetti speciali, fa sorridere nella sua ingenuità casereccia. Oggi, infatti, l'Antoniano è una delle tante produzioni proposte ai bambini in una televisione caotica e digitale, che ci fa sembrare quel passato ancora più distante dei decenni realmente trascorsi e persino difficile da raccontare ai più piccoli, se non per provvidenziali spezzoni su "You Tube" che ci ridanno la freschezza di quei tempi. Ma in più indelebili nella memoria restano brani sempreverdi che so a memoria, come il memorabile: «Quarantaquattro gatti, in fila per sei col resto di due, si unirono compatti, in fila per sei col resto di due, coi baffi allineati, in fila per sei col resto di due, le code attorcigliate, | in fila per sei col resto di due». ("Quarantaquattro gatti", 1968). Oppure sempre buona per un amante dei gatti come me: «Ma i patti erano chiari, un coccodrillo a te, e tu dovevi dare un gatto nero a me. Volevo un gatto nero, nero, nero, mi hai dato un gatto bianco, ed io non ci sto più. Volevo un gatto nero nero nero, siccome sei un bugiardo, con te non gioco più». ("Volevo un gatto nero", 1969). Potrei - capisco la minaccia - citare molte altre canzoni che so a memoria e vale anche per certi brani ascoltati anni fa con Laurent ed Eugénie e di recente con Alexis. Mi tengo aggiornato musicalmente con l'evolversi del mio coetaneo d'oro e trovo che moltissimi dei testi delle canzoni sono così ricchi, arguti e ben scritti da dover servire come lezione per i parolieri delle canzoni da adulti e lo stesso vale per i motivi musicali che ci aiutano a fissare nella memoria un mare di canzoni. Lunga vita allo Zecchino!