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29 mag 2017

I due volti dell'animalismo

di Luciano Caveri

Toccherà abituarsi, nel dibattito politico, a sentire parlare molto di più dello "specismo", "-ismo" che teorizza l'esistenza di una discriminazione fra esseri viventi in base alla specie e che sarebbe per i suoi critici alla base della supposta superiorità umana sugli animali e del loro conseguente sfruttamento. Tesi finora praticate e diffuse da gruppi animalisti pacifici o violenti, secondo diversi livelli di gradazione e con una comparazione improbabile del fenomeno con razzismo e sessismo. Ora questa storia - se davvero si andrà fino in fondo - parrebbe essere destinata a diventare, immagino nella versione più moderata, appannaggio anche del centrodestra in Italia.

Difatti Silvio Berlusconi e la prezzemolina Michela Brambilla hanno lanciato il "Movimento animalista", che secondo il Cavaliere potrebbe persino raccogliere - lo dice un sondaggio da lui richiesto! - il venti per cento dei voti alle prossime politiche. Si potrebbero fare commenti malevoli o pesante ironia su questa conversione, tenendo conto oltretutto che Berlusconi non può aspirare a giocare il ruolo di San Francesco, perché già prenotato da Beppe Grillo, dopo la "marcia ad Assisi". Anche io, per altro, sono un essere imperfetto: amo gli animali ma con qualche distinguo fra specie e specie, sono carnivoro senza dovermi sentire in colpa, ritengo che l'essere umano - senza metterlo sul piedistallo perché ne combiniamo di tutti i colori - abbia nel raziocinio una posizione particolare nella Natura, che non è obbligatoriamente un antropocentrismo da imbecilli. Ho trovato un’intervista del "Foglio" di qualche anno fa a Francesco D'Agostino, filosofo del diritto ed allora presidente onorario del "Comitato nazionale di bioetica", che diceva e condivido: «prima di tutto va distinto un animalismo che definirei "spontaneo", sempre più diffuso nel buon senso comune, e un animalismo dottrinale e teorico: è quest'ultimo ad essere davvero pericoloso e, direi, addirittura ripugnante. Il primo è il semplice atteggiamento di chi vede negli animali creature del buon Dio. Quando, a livello di esperienza comune, sentiamo esprimere dolore per un animale domestico morto che magari ha tenuto compagnia per anni ad una persona, dobbiamo pensare che questo atteggiamento è un fortissimo antidoto contro la crudeltà». Prosegue: «L'animalismo che chiamerei "del buon senso comune" è un ottimo antidoto alle pulsioni di crudeltà, che possono essere smussate quando si ha un rapporto con un animale domestico. E' la ragione per cui ai bambini fa bene avere un animale, sotto il controllo dei genitori. Un bambino che si abitua ad aver cura di un animale ne ha sicuramente ottimi benefici, perché entra in rapporto con un essere di cui impara che non è una macchina e verso il quale impara anche a essere responsabile». Cambia poi registro per l'atteggiamento teorico e estremista: «La più imperdonabile colpa degli animalisti teorici è infatti quella di negare la differenza, di perdere il senso della diversità umana, per appiattire il rapporto uomo-animale in chiave "sensista": anche gli animali soffrono, quindi siamo uguali». Cita a questo punto il filosofo australiano Peter Singer, il più importante pensatore dell'animalismo in un passaggio da brivido: «Detto con parole sue: "Anche con la più assidua assistenza possibile, alcuni neonati gravemente ritardati non potranno mai raggiungere il livello di intelligenza di un cane... La sola cosa che distingue il neonato dagli animali, agli occhi di chi vuole attribuirgli un "diritto alla vita", è il fatto che esso sia biologicamente un membro della specie homo sapiens, laddove scimpanzé, cani e maiali non lo sono. Ma usare questa differenza come base per garantire un diritto alla vita del neonato e non agli altri animali è, naturalmente, puro specismo" ("Liberazione animale", Mondadori)». Commenta D'Agostino: «Il dramma di questo animalismo, alla fine, è che invece di accrescere la nostra conoscenza della realtà animale, impoverisce la nostra conoscenza della realtà umana». Sono temi difficili, ma bisogna affermare forte e chiaro come gli eccessi ideologici creino situazioni grottesche e potenzialmente pericolose. Visto il tema, vale quanto scritto dal filosofo rumeno Emil M. Cioran: «Proverbio cinese: "Quando un solo cane si mette ad abbaiare ad un'ombra, diecimila cani ne fanno una realtà". Da mettere in epigrafe a ogni commento sulle ideologie». Appunto!