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02 set 2016

Riforma costituzionale: i nodi al pettine

di Luciano Caveri

Rassegniamoci sul fatto che ormai il ritorno alla quotidianità, dopo le divagazioni estive e la mazzata del terremoto, sarà comprensivo del tema dominante del referendum costituzionale, argomento che da pressante si farà ossessivo, anche perché è ormai evidente che la posta in gioco è per Matteo Renzi la sua presenza a Palazzo Chigi e questo vale anche per il vasto "giglio magico", che in un batter d'occhio ha occupato alcuni gangli vitali della Repubblica nel nome del "Nuovo", ma con metodi vecchi come il cucco e con burattinai portatori di interessi che inquietano persino e sono ben visibili nella legislazione di questi mesi. Sia chiaro che i cambiamenti sono necessari e chi si arrocca su posizioni conservatrici rischia di essere travolto dagli eventi. Una premessa d'obbligo rispetto al rischio che chi, come me, resta convinto assertore del "no" alla riformaccia Renzi-Boschi della Costituzione, possa essere accusato - con giochino infantile - di scegliere l'immobilismo rispetto al rinnovamento.

Ma, si sa, alla fine nel valutare i testi delle riforme quel che conta non sono affatto le buone intenzioni e neppure la propaganda con cui si cerca di pilotare l'esito delle urne, ma il contenuto delle norme del nuovo testo costituzionale e l'impatto che esso avrà sulle Istituzioni e sulla Politica, nel caso sciagurato di una sua entrata in vigore. Direi che Matteo Renzi sta cercando tutte le strade per una vittoria al referendum, ritenendo il vestito autoritario e centralista della riforma imposta dal Governo al Parlamento - in assenza di qualunque spirito costituente - come quello più adatto a sé stesso, alle sue ambizioni e a un disegno che incarna con compiaciuta magniloquenza e che è forse persino più grande di lui. Per altro, il tentativo di trasformarlo in un plebiscito personale ha preso una brutta piega e direi che adesso la grancassa che subiranno gli italiani sarà del genere: se vinceranno i "no" ci sarà una crisi economica pazzesca che metterà l'Italia (e l'Europa, poffarbacco!) in ginocchio. Scenario privo di contenuti, ma suggestivo per colpire quella parte di elettorato che sceglierà in modo umorale e non nel merito della questione. Mi è tornato in mano in questi giorni il testo di "Norme per la costituzione di uno Stato federale", che poi era una bozza provocatoria per una nuova Costituzione, che presentai - a nome dell'Union Valdôtaine - nell'ottobre del lontano 1991, in un clima politico ben diverso dall'attuale. Fu quella riforma di stampo federalista un unicum, nel senso che - pur con ingenuità che oggi leggo in certi passaggi del testo grazie all'esperienza accumulata - nel deserto del federalismo italiano, che è fatto di piccole organizzazioni autoreferenziali e immobili con peso politico esprimibile in grammi, quella almeno fu un atto forte e provocatorio. Erano anni di transizione in cui, sulle macerie di "Tangentopoli", si tentò - con qualche favilla di "quasi federalismo" - di modificare parte della Costituzione sino alla riforma costituzionale voluta dal centrosinistra nel 2001. Di quella riforma, pur piena di limiti e rimasta largamente inespressa, il testo ora al voto costituisce la Controriforma, che dovrebbe venire dalla stessa parte politica, ma il Partito Democratico di oggi non c'entra nulla con l'area politica di allora, visto che si tratta di una specie di Democrazia Cristiana contemporanea in una logica personalistica che ha distrutto il partito con cacicchi locali che mirano al sodo di poltrone e strapuntini. Ma torniamo al punto: certo che la Costituzione vigente va riscritta a fondo, perché sente il peso degli anni e non esistono feticci intoccabili. La strada da percorrere è diversa da quella intrapresa, che - com'è nata - è una forma a suon di maggioranza di occupazione in barba al dialogo e di asfaltatura di logiche di confronto pluralistico. Che lo si valuti anche nella piccola Valle d'Aosta per la riscrittura dello Statuto d'autonomia, perché in un sistema di potere assolutistico la forza del Consiglio Valle di lavorare in modo aperto e partecipato è una porta piccola e stretta e in molti sono ormai presi dall'assillo della rielezione nel 2018, che stride con un impegno costituente...