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28 lug 2016

La Turchia e l'islamismo "moderato"

di Luciano Caveri

La Turchia per me è stata terra di vacanze: posti meravigliosi con un mare impagabile e lo stupore ogni volta di scoprire la profondità della sua storia, che si incrociava per altro con la mia formazione classica, di quando Istanbul era Bisanzio o Costantinopoli, per non dire di quella città di Troia nello stretto dei Dardanelli, che per l'epica antica è davvero un caposaldo. Poi è stato, in politica a Roma, l'impegno per capire le vicende dei Curdi, un popolo cui è stato negato uno Stato e che dalla Storia hanno preso una mazzata dietro l'altra ed il regime turco (lo stesso che nega con forza il genocidio degli armeni con una vera "faccia di tolla") si è sempre distinto per la sua ferocia. Infine, nel mio mandato europeo, è stata la scoperta dei meccanismi, spesso legati a grandi affari, che spingevano una parte di Europa ad accogliere a braccia aperte la Turchia nell'Unione europea, mettendo da parte il fatto che tutta una serie di presupposti - non solo per i diritti umani, ma anche per la legislazione economica - che prevedevano cautela. Oltretutto, visto il piccolo pezzo di Europa fisica che la Turchia occupa, bisogna riflettere su quale logica sovrintenda che il Vecchio Continente inglobi chi in realtà sta saldamente piantato in un altro Continente.

Poi c'è tutto il problema religioso strettamente legato alle politica ed alle istituzioni. Quando andai la prima volta, direi 35 anni fa, fui obbligato a studiare di più la loro storia per evitare di essere un pesce fuor d'acqua, che si limitasse ad un turismo "mordi e fuggi". Così scoprii di chi fossero tutte quelle statue in giro per il Paese. Così dice la "Treccani" di questo personaggio: "Atatürk ⟨-ü'rk⟩, Kemal (prima del 1934 Muṣṭafà Kemāl). - Generale e statista turco (Salonicco 1880 - Istanbul 1938). Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale organizzò la lotta per l'indipendenza e l'unità nazionale della Turchia. Respinta l'invasione greca (1920-22), diede il via a una serie di rivoluzionarie riforme costituzionali, quali l'abolizione del sultanato ottomano, del califfato e del diritto canonico islamico, la proclamazione della repubblica, la laicizzazione dello Stato. La sua ventennale azione di governo creò la nuova Turchia repubblicana, di cui fu il primo presidente". Si legge più avanti per entrare nel vivo della questione: "Sotto l'impulso e per volontà diretta di Kemal, s'iniziavano all'interno le grandi riforme costituzionali e rivoluzionarie: abolizione del sultanato ottomano (1922) e proclamazione della repubblica (1923), abolizione del califfato (1924), trasferimento della capitale ad Ankara, laicizzazione dello stato e abolizione del diritto canonico islamico, introduzione dell'alfabeto latino (1928), eccetera. Eletto primo presidente della nuova Repubblica nel 1923, rimase a capo dello stato da lui fondato fino alla morte (10 novembre 1938). Coraggioso e impulsivo, duro con rivali e oppositori, esercitò per vent'anni una dittatura incontrastata, che, pur con misure talora intempestive e vessatorie, e con una mentalità di illuminismo illiberale, distrusse il decrepito impero ottomano, e costituì un organismo moderno nella nuova Turchia repubblicana. Il nome di Atatürk (letterale "padre turco, gran Turco", quasi "Padre della Patria") gli fu conferito dalla Grande Assemblea Nazionale nel 1934". Insomma, una personalità contrastata. Un modernizzatore con evidenti tratti dispotici. Ma certo si deve a lui un cambio di rotta che ha lasciato il segno. Recep Tayyip Erdoğan spera forse di essere un nuovo "Padre della Patria", ma mettendo la macchina in retromarcia, almeno per quel che riguarda l'incidenza della religione in Turchia. In questo periodo in cui il mondo è insanguinato da attentati suicidi di vario genere per mano dei terroristi islamisti, si tende sempre a fare una distinzione fra chi è interprete di un Islam moderato e chi ne stravolge i tratti nel nome di un integralismo religioso pericoloso e omicida. La svolta autoritaria di Erdogan, in corso con epurazioni impensabili in un sistema democratico, con il pretesto del mancato "golpe da operetta" degli scorsi giorni, deve forse farci riflettere su quale linea di confine ci sia - rispetto a certi valori dell’Europa - fra gli estremisti ed i moderati. Un distinguo giusto ed utile per non fare di ogni erba un fascio, ma senza fare sconti a chi sta islamizzando un Paese sinora immune da certi veleni. Bisogna, da questo punto di vista, avere l'equilibrio e l'onestà, fatte le giuste distinzioni, condannare anche chi - considerato moderato e dunque accettabile - assume comportamenti che violano palesemente principi assodati nel diritto costituzionale ed in quello internazionale.