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22 lug 2016

Discoteca e "lenti" con nostalgia

di Luciano Caveri

Avevo quindici anni in quell'estate del 1974: penso che sia stato quello l'anno in cui, nelle lunghe estati sulla Riviera di Ponente, muovendomi da Imperia con il mio cinquantino che spedivo in treno da Aosta (oggi non sarebbe fattibile, tanto per dire), cominciai ad andare in piena libertà in discoteca. Forse già l'anno prima ero riuscito ad infilarmi qualche volta nei locali, ma poi lo sdoganamento avvenne in quello successivo. La discoteca era davvero un luogo cult: ne ricordo una a Diano San Pietro chiamata "Pop" che era un concentrato di ormoni, un'altra era "La Suerte" a Laigueglia, mentre a Porto Maurizio ce n'erano due, l'"Akutiki" (penso si scrivesse così) ed un'altra - maledetta memoria! - di cui non ricordo il nome. Ballare, oggi come allora, era un divertimento antico quanto il mondo, espresso sui ritmi dell'allora disco-music che ci riempiva di frizzante allegria. Era, come sempre per il suo aspetto culturale, una sorta di rito di iniziazione, far parte di una tribù in quell'ambiente modernissimo - almeno appariva tale - che erano le discoteche di allora. Oggi quel che resta ha un'aria vintage anche perché manca quell'aspetto anticonformista e ribellistico degli esordi, che rende il ricordo dolce e leggermente nostalgico.

Impagabile il momento in cui, magari sollecitando il disc jockey amico che lavorava con il vinile, scattavano i lenti e le luci stroboscopiche cedevano il passo alla luce della "lampada di Wood" che esaltava i bianchi degli occhi e dei denti. Il 1974 era l'anno di Claudio Baglioni e del suo "E tu", che allora sembrava quasi poesia: "Accoccolati ad ascoltare il mare / quanto tempo siamo stati senza fiatare / seguire il tuo profilo con un dito / mentre il vento accarezzava piano il tuo vestito / e tu / fatta di sguardi tu / e di sorrisi ingenui / tu / ed io / a piedi nudi io / sfioravo i tuoi capelli / io / e fermarci a giocare/ con una formica / e poi chiudere gli occhi / non pensare più / senti freddo anche tu / senti freddo anche tu / e nascoste / nell'ombra della sera poche stelle / ed un brivido improvviso / sulla tua pelle...".

Ma quello fu anche l'anno della sfrontata "Bella senz'anima" di Riccardo Cocciante, anch'essa pervasa da un senso di familiarità mista a un pizzico di perdizione: "Adesso siediti / su quella seggiola / stavolta ascoltami / senza interrompere / è tanto tempo che / volevo dirtelo / vivere insieme a te / è stato inutile / tutto senza allegria / senza una lacrima / niente da aggiungere / né da dividere / nella tua trappola / ci son caduto anch'io / avanti il prossimo / gli lascio il posto mio / povero diavolo / che pena mi fa".

Ricordi, insomma, che rendono tutto zuccheroso in barba a certi patimenti dati e subiti. Tra l'altro proprio in quell'anno scoprii goffamente l'amore carnale con una paziente e divertita ragazza più grande di me. Lo ricordo come se fosse oggi con il sorriso benevolo verso il me stesso di quell'età.