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08 feb 2016

Un Ministro contrario alla specialità

di Luciano Caveri

Non conosco Enrico Costa (classe 1969), mentre conoscevo bene il papà Raffaele (classe 1936), che aveva fatto della lotta alle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome uno dei suoi cavalli di battaglia. La logica era chiara: abolirle senza "se" e senza "ma" ed il suo refrain piaceva molto come propaganda nella Provincia Granda, dove Costa padre e poi Costa figlio hanno un feudo elettorale costruito con pazienza cuneese. Con il papà non sono mancate polemiche a distanza, quando ci picchiava in testa con la solita solfa dei «ricchi e privilegiati» da stroncare. Così utilizzai una definizione su di lui del mio amico sudtirolese Luis Durnwalder, quando Costa divenne, come il figlio oggi (nomina arrivata dopo un vuoto di un anno in seguito alle dimissioni di Maria Carmela Lanzetta), ministro delle Regioni.

La definizione efficace era: «è come mettere una capra a guardia di un orto», nel senso che era evidentemente paradossale finisse in quel ruolo, visto che per convinzioni personali e passato politico (veniva dal Partito Liberale, ferocemente antiregionalista) non ci azzeccava. Ma visto che la vendetta è un piatto da mangiare freddo, il paradosso fu che, con lui in quel Dicastero, io portai a casa la riforma dello Statuto del 1993, la più importante dall'emanazione dello Statuto valdostano. Ma il figlio, allevato dal papà (che tra l'altro so non stare bene di salute e mi dispiace sinceramente), presentò sulla scia una decina di anni fa, quando era berlusconiano e non ancora alfaniano, una proposta di legge costituzionale di evidente rozzezza, che recita così nella relazione introduttiva, che sembra scritta con i piedi: «Titolo: "Soppressione dello status giuridico di regione a statuto speciale e di provincia autonoma". Onorevoli colleghi, il clima politico e sociale che nell'immediato dopoguerra aveva portato il legislatore a prevedere una particolare autonomia politica e amministrativa per cinque Regioni e due Province Autonome è profondamente cambiato. In primo luogo, gli Enti locali nel loro complesso, ed in particolar modo le Regioni, hanno via via raggiunto una sempre maggiore identità ed autonomia dallo Stato centrale. In secondo luogo, le significative differenze linguistiche, culturali e geografiche che cinquant'anni fa avevano favorito la scelta di uno "Statuto speciale", se hanno ragione di esistere in tempi di integrazione europea, sotto il profilo sostanziale dell'identità, non hanno più motivo di costituire artificiose barriere protettive. Nell'attuale contesto, poi, le Regioni a Statuto speciale ricevono dallo Stato finanziamenti di gran lunga maggiori rispetto a quelle a Statuto ordinario: si tratta di un'evidente sperequazione che oggi appare per molti versi incomprensibile. Da ultimo, con l'accettazione da parte dello Stato di una significativa idea di federalismo, occorre far sì che tutte le Regioni godano di un'identica posizione di partenza, in modo che non si configuri una situazione che veda un federalismo di "serie A" ed uno di "serie B". Con la presente proposta di legge costituzionale si intende eliminare lo status giuridico di Regione a Statuto speciale e di Provincia Autonoma, equiparando tutte le realtà amministrative esistenti sul territorio nazionale. Il comma 1 dell'articolo 1 abroga l'articolo 116 della Costituzione che dispone particolari forme di autonomia per le regioni Friuli-Venezia-Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto-Adige, Valle d'Aosta e per le province di Trento e di Bolzano. Il comma 2 dell'articolo 1 sopprime un inciso dell'articolo 117, quinto comma, della Costituzione, che concede una posizione di favore alle due Province in questione. Il comma 3 del medesimo articolo abroga la decima disposizione transitoria e finale della Carta costituzionale, la quale prevede la provvisoria applicazione delle norme del titolo V della parte seconda per il Friuli-Venezia-Giulia. L'articolo 2 abroga lo statuto della Regione siciliana. L'articolo 3 abroga lo Statuto speciale per la Sardegna. L'articolo 4 abroga lo Statuto speciale per la Valle d'Aosta. L'articolo 5 abroga lo Statuto speciale per il Trentino-Alto-Adige. L'articolo 6 abroga lo Statuto speciale della regione Friuli-Venezia-Giulia. L'articolo 7 prevede che, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale, i consigli regionali della Regione siciliana, della Sardegna, della Valle d'Aosta, del Trentino-Alto-Adige e del Friuli-Venezia-Giulia adottino un nuovo Statuto, in conformità alla medesima legge costituzionale, ai sensi dell'articolo 123 della Costituzione, analogamente a quanto è stato fatto dalle altre quindici Regioni a Statuto ordinario». Insomma neanche uno sforzo per motivare le proprie ragioni: tutto al macero. In fretta e furia. Per cui il Gruppo delle Autonomie del Senato, indispensabile per i voti a favore del Governo Renzi, si è trovato un bel pacco regalo nel Ministero che dovrebbe seguire l'attualizzazione degli Statuti delle autonomie differenziate derivante dal nefasto disegno di riforma costituzionale renziano e, malgrado le dichiarazioni di soddisfazione per la nomina, non c'è dubbio che il prescelto non brilli nel ruolo di garante per le sue precedenti azioni per la morte istituzionale delle Speciali… Dulcis in fundo: Costa ha l'incredibile aggiunta della delega sulla famiglia nel Governo Renzi, appiccicata senza alcun senso logico alle Regioni solo per tenersi buoni gli alfaniani, spaventati anche dai verdiniani in ascesa. Una lotta fra colossi (sic!), ma ormai la politica vive di strane formule di maggioranze atipiche, che sono un elisir (non penso di lunga vita...) per una politica in crisi d'identità.