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08 dic 2015

Il cimitero della memoria

di Luciano Caveri

Esiste ormai nella mia memoria, una specie di "Antologia di Spoon River", evocando appunto una similitudine con la straordinaria raccolta di poesie che il poeta statunitense Edgar Lee Masters pubblicò una ad una il 1914 e il 1915 sul "Mirror di Saint Louis" in Missouri. Fu questo un libro, comprato da mio papà e presente nella biblioteca di casa, che mi colpì da ragazzino, anche se in verità - tornato nelle mia mani di recente per una rilettura - ha ben diverso sapore se letto in età adulta, quando gli anni della vita iniziano a diventare come sabbia in una clessidra che si sta svuotando con maggior rapidità. Ogni poesia di quella raccolta racconta, in prima persona con la testimonianza del defunto, la vita di una delle persone sepolte - con i loro chiari e i loro scuri - nel cimitero di un immaginario paesino del Midwest statunitense.

Anni fa, pensai di fare una cosa del genere per la Valle d'Aosta, ma poi è rimasta lì inespressa, e questi necrologi poetici, ovviamente basati sulla conoscenza o sulla raccolta di dati su persone che ci hanno appena lasciati, ha cominciato a farli, pur in prosa, ogni domenica su "La Stampa" un Enrico Martinet in punta di penna. Fa impressione che un polemista nato come "Chicco" (cominciammo assieme a lavorare nel Giurassico a "Rta - RadioTeleAosta") sappia usare diversi inchiostri, quello avvelenato che non guarda in faccia nessuno e quello dai colori arcobaleno per descrivere, con tratti decisi ma cesellati, le persone che se ne vanno. Sembra di ritrovare il garbo dei versi e della musica di "Il Signore delle cime", quel Canto-Preghiera scritto dal compositore vicentino Giuseppe "Bepi" de Marzi, che spesso risuona, fra la commozione generale, nelle Chiese delle Alpi in occasione di funerali: «Dio del cielo, Signore delle cime, un nostro amico hai chiesto alla montagna, ma ti preghiamo, ma ti preghiamo, su nel Paradiso, su nel Paradiso, lascialo andare per le tue montagne».

Per altro, ricordo - a chi volesse visitare il cimitero di Valgrisenche - che la Valle d'Aosta ha avuto un suo Lee Masters, quel Edouard-Clément Bérard (1862-1952) , parroco del paese per 56 anni, cui si devono incredibili epitaffi sulle lapidi in ricordo di persone della vallata di diversa estrazione e ciascuno con la propria storia. Ma il mio camposanto virtuale io nella testa ce l'ho ed in certi luoghi o incontrando certe persone rispuntano amici e conoscenti che non ci sono più, con la banale conferma che ognuno di noi è un pezzo originale, non solo per la singolarità del nostro "dna", quanto perché ognuno di noi, oltre alla genetica, diventa nel tempo un prodotto culturale senza eguali. Così in questi giorni pensavo a quale angolo di Paradiso sarà stato assegnato a Carlo Jans, che ricordo con i suoi occhi intelligenti e il sorriso sotto i suoi baffi. Fu lui a instradarmi da giovane cronista nella comprensione della "Foire de Saint-Ours", di cui è stato per anni curatore e poi giurato di grande esperienza. Sapeva arricchirmi con un'aneddotica instancabile sul mondo valdostano e sull'espressività del nostro artigianato, da quello contadino ai grandi artisti. E lui nel cesello era un mago e ho ancora un "Opinel" che mi aveva regalato con la perfezione di quelle geometrie del suo intaglio nella parte in legno. Era un uomo di Terroir, razza che rischia di scomparire, fatta di montanari che praticavano il mondo, senza mai perdere le proprie radici. Le sue erano a Saint-Rhémy, dove la montagna alpina si addolcisce in una conca. Un'altra croce, nel mio cimitero mentale, va ad Eraldo Segafredo, storico parroco del paese di Issogne, terra di partigiani comunisti con cui lui sapeva scherzare. Prete-operaio per capire la rudezza della vita di fabbrica, era un uomo che alla Fede accompagnava una grande operosità. Era lui il tipografo, sempre aggiornato sull'evoluzione tecnica, dei bollettini parrocchiali. Ma soprattutto seguiva i giovani, portandoli in montagna, in quella logica di svago alpino del nostro clero per la jeunesse. Per lui la ragione del dolore era il fatto che nel suo paese avesse preso piedi il flagello dell'eroina e compartecipai al suo lavoro per trovare vicino alla chiesa, sempre i ragazzi, un centro di aggregazione. Pochi anni fa, ad un matrimonio, dovevo occuparmi di una lettura, ma il Don sbagliò un passaggio della funzione e dovetti correre al microfono. Mi disse che la causa era la stanchezza e l'invecchiamento. Gli risposi, facendolo ridere, che in fondo aveva la stessa età di Berlusconi...