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08 dic 2015

Turchia in Europa? No, grazie

di Luciano Caveri

Bisogna stare con le orecchie ben dritte sul futuro dell'Unione europea, i cui destini oggi paiono abbastanza incerti. La compagine europea sembra essere sempre più scricchiolante e sarebbe bene che i Paesi fondatori battessero un colpo, a costo di differenziare il cammino di chi ci sta ad un'Europa politica e chi si accontenta di accordi solo economici. "Serie A" e "Serie B": triste da dirsi, ma forse è la sola operazione di salvataggio possibile e dove potrebbe classificarsi l'Italia di Matteo Renzi è difficile dirlo. Ma veniamo al tema scottante di questo ore, il "caso turco". La Turchia ha il tre per cento del suo territorio sul suolo europeo, il resto è in Asia. Questo vuol dire che è un grande e popoloso Paese asiatico (il doppio del territorio italiano e con una decina di milioni di abitanti in più). Perché mai dunque, vista la percentuale esigua sul Vecchio Continente, dovrebbe entrare nell'Unione europea?

Evidentemente si vuole creare il bizzarro precedente di prescindere dal criterio geografico in senso stretto ed è una scelta che rischia di creare in futuro dei problemi mica da ridere. Oggi il rilancio della sua adesione parte da ragioni contingenti: i turchi lavoreranno, finanziati dagli europei, per arrestare sul proprio territorio il flusso di migranti che vogliono arrivare in Europa. Storia già vissuta con la Libia... Dunque il presidente Recep Tayyip Erdoğan, ormai un "Califfo" a tutti gli effetti, va secondo i governanti europei coccolato e viziato anche a costo di aumentare la tensione con la Russia, dopo l'abbattimento di un jet russo impegnato in azioni belliche in Siria ed anche a costo di giocarsi i rapporti con Israele, che è l'unico Paese - pur incapace di trovare una via per la questione palestinese (non solo per propria colpa) - con un sistema democratico di quell'area mediorientale. La preoccupazione non contingente concerne la stabilità politica e si ritiene che l'adesione turca all'Europa sia una garanzia per evitare che dall'islamismo moderato si passi ad uno più estremo in un Paese che è musulmano a differenza degli altri Paesi europei, che pure hanno percentuali forti di minoranze islamiche, ma per fenomeni migratori. Qui il problema è diverso: nel momento in cui nuovi Stati chiedono di aderire all'Unione entra in gioco l'acquis communautaire. Infatti, per aderire ai Trattati, agli obblighi legali ed alle politiche adottate, viene richiesto a chi voglia entrare in Europa di "adottare tutte le misure necessarie ad assicurare la loro applicazione" e di riconoscere la supremazia della normativa comunitaria. Per "acquis communautaire", o eredità della Comunità europea, si intende l'intero corpo di leggi, politiche e pratiche che nel tempo si sono susseguite e modificate all'interno dell'UE. Il termine era già corrente prima di essere formalmente introdotto nel 1992 dal "Trattato di Maastricht", sotto il quale "mantenere e implementare l'acquis" è divenuto un obiettivo esplicito dell'Unione. Per capirci: non si può immaginare che possa aderire chi perseguita le minoranze nazionali, come sono in curdi; uno dei criteri deve essere quello della libertà di stampa e le prigioni turche sono piene di giornalisti dissidenti e nelle prigioni si praticano torture e maltrattamenti; idem per altri diritti civili, come quelli delle donne, che sono nel mirino di un processo di islamizzazione della società civile nel nome del venir meno di una divisione fra religione e Stato di diritto; lo stesso vale per una serie di criteri più propriamente economici: molte riforme sono state fatte come facciata e non applicate in concreto. L'allargamento in passato - per Paesi borderline come Romania e Bulgaria - è avvenuto, pur in presenza di una serie di dubbi, nella certezza di un ingresso nell'Unione che sarebbe stato una sorta di viatico per una democratizzazione, perché agganciati a realtà solide. Il risultato in verità è stato deludente, anche se è inutile piangere sul latte versato, ma dimostra come ci voglia molta cautela. E' vero che l'apertura alla Turchia di oggi prevedono un riavvio di un lungo iter, spostato assai in là nel tempo, ma non si può dare l'impressione che per realpolitik si possano digerire comportamenti non in linea con gli standard europei.