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09 lug 2015

La Corte Costituzionale e l'ordinamento valdostano

di Luciano Caveri

A seguire le sentenze della Corte Costituzionale sulla Valle d'Aosta, in questo ultimo periodo ma ciò è valido sul complesso delle decisioni assunte dalla Consulta a partire dall'inizio del suo lavoro (organo previsto dalla Costituzione del 1948, ma diventato operativo - nella solita logica all'italiana - solo sette anni dopo), può venire un vago senso di malessere. Sembra di viaggiare su di un ottovolante di "Gardaland" con - come diceva Lucio Battisti in una canzone scritta con Mogol - «le discese ardite e le risalite» e quindi notizie buone a tutela dello Statuto speciale o grandi batoste, come avvenuto ancora di recente sulla solidità dell'ordinamento finanziario. Sempre di più il Giudice delle Leggi sembra intenzionato a dare "un colpo al cerchio e un colpo alla botte" e ci sono stati pronunciamenti che sono avvenuti con il misurino in una logica di equidistanza, talvolta vagamente pilatesca.

E' di questo ore una sentenza (redattore Aldo Carosi) che riguarda la Sanità ed il tentativo del Governo Monti, con un decreto legge convertito nell'estate del 2012, di intervenire pesantemente su questa materia, malgrado sia da almeno vent'anni interamente autofinanziata dalla nostra Regione. Scelta che venne presa negli anni Novanta - sono stato come deputato protagonista e testimone di quelle battaglie - proprio per evitare che venisse toccata la sostanza del nostro riparto fiscale, accettando in cambio di assumere la copertura finanziaria di interi comparti, come quello sanitario. Poi, a dire il vero, siamo rimasti a metà del guado, perché avrebbe dovuto essere trasferita alla Valle anche una serie di questioni più ordinamentali, compresa la trattazione dei contratti di lavoro, perché chi paga deve potere anche occuparsi di questo. La sentenza chiarisce in sostanza l'incostituzionalità di azioni, come quella della riduzione manu militari da parte dello Stato, dei posti letto ospedalieri: "Le norme impugnate non si articolano in enunciati generali riconducibili alla categoria dei principi, ma pongono in essere una disciplina di dettaglio. Ciò comporta che le misure in considerazione non possono trovare fondamento nella potestà legislativa concorrente dello Stato, così come sostenuto dalla difesa erariale. A tale argomento si aggiunge il rilevo che, ai sensi dell'articolo 34, comma 3, della legge 23 dicembre 1994, numero 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), "La Regione Valle d'Aosta e le Province autonome di Trento e Bolzano provvedono al finanziamento del Servizio sanitario nazionale nei rispettivi territori, senza alcun apporto a carico del bilancio dello Stato". Dunque, come meglio chiarito in prosieguo, lo Stato non ha comunque titolo per dettare norme di coordinamento finanziario che definiscano le modalità di contenimento di una spesa sanitaria interamente sostenuta da tali enti". Questo dimostra, ce ne fosse bisogno, come il ruolo dei parlamentari valdostani a Roma sia fondamentale: quella norma nel 1994, che ho scritto assieme ai colleghi autonomisti delle Province autonome, è un caposaldo che evita il peggio. Spiega ancora la Corte: "Le disposizioni in esame non possono nemmeno essere ricondotte alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di livelli essenziali di assistenza ("Lea"), ex articolo 117, secondo comma, lettera "m" della Costituzione, così come ritenuto dall'Avvocatura dello Stato e come evocato dall'incipit dell'articolo 15, comma 13, lettera "c", del decreto legge numero 95 del 2012 e dal richiamo ivi operato all'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, numero 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2005). La Corte ha già avuto modo di precisare che questo titolo di legittimazione dell'intervento dello Stato riguarda fattispecie per le quali la normativa statale definisce il livello essenziale di erogazione delle prestazioni destinate ai fruitori dei vari servizi sociali. Nella prospettiva della loro tutela la Costituzione assegna "al legislatore statale un fondamentale strumento per garantire il mantenimento di una adeguata uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, pur in un sistema caratterizzato da un livello di autonomia regionale e locale decisamente accresciuto" (sentenza numero 111 del 2014). Si tratta, dunque, "non tanto di una "materia" in senso stretto, quanto di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull'intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle" (sentenza numero 207 del 2012). I "Lea" rappresentano quindi degli "standard minimi" (sentenza numero 115 del 2012) da assicurare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, per cui "la deroga alla competenza legislativa delle Regioni, in favore di quella dello Stato, è ammessa solo nei limiti necessari ad evitare che, in parti del territorio nazionale, gli utenti debbano assoggettarsi ad un regime di assistenza sanitaria inferiore, per quantità e qualità, a quello ritenuto intangibile dallo Stato" (sentenza numero 207 del 2010), "ferma comunque la possibilità delle singole Regioni, nell'ambito della loro competenza concorrente in materia, di migliorare i suddetti livelli di prestazioni" (sentenza numero 200 del 2009). Fermo restando che le prestazioni attualmente assicurate dal servizio sanitario provinciale presentano livelli sicuramente superiori a quelli previsti dalle disposizioni impugnate, occorre ricordare che l'articolo 2, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica numero 474 del 1975 - recante la normativa di attuazione statutaria trentina in materia di igiene e sanità - vincola le Province autonome a "garantire l'erogazione di prestazioni di assistenza igienico-sanitaria ed ospedaliera non inferiore agli standard minimi previsti dalle normative nazionale e comunitaria" e che, come accennato, le stesse Province finanziano integralmente il Servizio sanitario nazionale nei rispettivi territori. Alla luce delle esposte premesse, si deve sottolineare come l'articolo 15, comma 13, lettera "c", del decreto legge numero 95 del 2012, disponendo una riduzione dello standard dei posti letto, non tenda a garantire un minimum intangibile alla prestazione, ma ad imporre un tetto massimo alla stessa. Quest'ultima prescrizione, dunque, non essendo nemmeno correlata all'ipotesi del finanziamento da parte dello Stato, non appare conforme ai parametri di riferimento invocati nel ricorso". Sarà "giuridichese", ma credo che per chiunque la spiegazione risulti chiara. Poi la Corte si esprime sui tagli finanziari al settore sanitario: "Nel caso in esame non vale richiamare la potestà legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 117, terzo comma della Costituzione: questa Corte ha infatti precisato che "lo Stato, quando non concorre al finanziamento della spesa sanitaria, "neppure ha titolo per dettare norme di coordinamento finanziario" (sentenza numero 341 del 2009)" (sentenza numero 133 del 2010; nello stesso senso, successivamente, sentenze numero 115 e numero 187 del 2012). Come evidenziato, la Regione autonoma Valle d'Aosta - Vallée d'Aoste non grava, per il finanziamento della spesa sanitaria nell'ambito del proprio territorio, sul bilancio dello Stato e quindi quest'ultimo non è legittimato ad imporle il descritto concorso. Infine, si sottolinea come nel caso in esame non rilevi l'esigenza di riparto degli obiettivi del "Patto di stabilità" o di ottemperanza a precisi vincoli assunti dallo Stato in sede europea, ipotesi per le quali è consentita la determinazione unilaterale del concorso da parte dello Stato in attesa del perfezionamento delle procedure pattizie previste per le autonomie speciali (sentenza numero 19 del 2015)". Insomma: anche se la sentenza appena citata richiama appunto il principio aberrante "lo Stato tagli e poi ci si accorda", resta - almeno per la Sanità autofinanziata - un raggio di luce.