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07 lug 2015

Il turismo alpino che cambia

di Luciano Caveri

Stiamo entrando nel periodo più propriamente turistico e, come sempre capita, si passerà una parte dell'estate a discutere al capezzale del turismo montano per capire andamenti e comportamenti. Si vive di dati, ammesso che siano davvero provanti con il vecchio metodo di arrivi e presenze, e poi di valutazioni più o meno soggettive, che alimentano un dibattito infinito, in cui alla parte quantitativa bisognerebbe sempre di più - come qualcuno cerca di fare con il "Prodotto interno lordo" - aggiungere elementi qualitativi. Cercando elementi per una trasmissione radiofonica in corso, mi sono imbattuto in un articolo molto interessante di Michele Corti, professore di zootecnia di montagna e ruralista, che sviluppa con grande sagacia un ragionamento sulle possibilità turistiche per il mondo rurale con particolare riferimento a quel fenomeno della monticazione in alta quota, che è l'alpeggio.

Tra l'altro oggetto in queste settimane, specie nel cuneese, di vivaci polemiche per un'inchiesta assai ramificata per un uso improprio di fondi comunitari. Occasione per molti per riflettere su alcune storture che si sono innescate in questo antico metodo di sfruttamento del bestiame e del territorio. Osserva Corti nella parte introduttiva, che cito togliendo solo alcuni riferimenti bibliografici: «L'interesse per le espressioni più autentiche della vita e della cultura rurali è enormemente cresciuto come fatto sociale complessivo nella società metropolitana globale caratterizzata dall'instabilità sociale, dalla moltiplicazione delle immagini e di realtà virtuali, dall'accelerazione del cambiamento di prospettive, certezze, valori. La rapidità con cui i cicli delle mode e dell'innovazione tecnologica consumano il presente, la tensione, indotta dal consumismo, tra nostalgia (surrogata) per passati immaginati e fantasie precorritrici del futuro i processi di deterritorializzazione indotti dalla globalizzazione determinano, come contrappunto, l'esigenza di solidi radicamenti spazio-temporali, e di recupero di un rapporto consapevole con la propria storia e il proprio territorio. E' questa la premessa che spiega lo sviluppo del turismo culturale, (uno dei turismi in forte crescita a livello internazionale, interessato alle tradizioni e alle diversità culturali), attratto dalle peculiarità culturali regionali e non dai classici luoghi della cultura. Rispetto al turismo di massa ("moderno"), caratterizzato dall'esperienza turistica superficiale, dalla standardizzazione (il turismo "postmoderno" è stato identificato già da MacCannel), con la ricerca di "autenticità". La ricerca della dimensione naturale e rurale, rappresentano espressioni tipiche della postmodernità e distinguono il turismo "dell'autentico" dalle altre forme di turismo postmoderno, nel frattempo sviluppatesi, caratterizzate dalla fruizione di luoghi ed eventi artificiali. Il turista dell'autentico desidera allontanarsi dalla realtà di ogni giorno, non per futile ricerca di "evasione", ma per immergersi in nuove esperienze, in cui l'aspetto educativo si integra a quello ricreativo. Il turismo rurale, da questo punto di vista, è in grado di offrire un mix di relax, enogastronomia, sport, ma anche un interessante ventaglio di attività culturali e didattiche, incentrate sui temi dell'ecologia, dell'alimentazione, del significato della cultura locale che risponde al meglio alle nuova domanda turistica. In questo contesto si aprono interessanti prospettive di valorizzazione di quella dimensione rurale del territorio alpino che, sinora, ha rappresentato poco più che uno sfondo folkloristico, sovrastata dall'esposizione degli aspetti naturalistici e delle opportunità di fruizione sportiva. Il turismo rurale alpino può consentire di integrare con nuove proposte l'offerta tradizionale delle località e dei comprensori a maggiore vocazione turistica (sci, escursionismo e altre attività sportive legate alla montagna, cura del corpo) ma, soprattutto, può favorire - nella prospettiva di un turismo sostenibile - una frequentazione più diffusa del territorio, in grado di produrre impatti socio-economici positivi evitando gli impatti ambientali e culturali negativi del turismo "di massa". In questa direzione, l'alpeggio, che costituisce uno degli aspetti più significativi della vita rurale alpina è stato indicato, sin dagli anni '70, come un elemento chiave di uno sviluppo integrato dei territori alpini basato su forme di turismo "dolce"». Segue una lunga e dettagliata spiegazioni di come l'Alpeggio si presti a diverse forme di turismo e come molte Regioni (compresa la Valle d'Aosta con "Alpages Ouverts") siano andate in questa direzione. Trovo illuminante un passaggio riguardante alcuni aspetti del rischio di sradicamento e di perdita di attrattività dell'Alpeggio così espresse: «Quanto più il sistema zootecnico di fondovalle tende ad allinearsi ai moduli della zootecnia industriale, tanto più l'alpeggio diventa marginale nel quadro della strategia aziendale ed è costretto ad adattarsi, con difficoltà, alla realtà di intensificazione produttiva dell'azienda di fondovalle (Corti, 2003). In questo contesto la sopravvivenza della pratica della monticazione del bestiame sui pascoli alpini rischia di restare affidata all'erogazione di contributi pubblici, mentre si assiste ad una sensibile trasformazione delle pratiche tradizionali. Nelle realtà più svantaggiate (per accessibilità, giacitura dei pascoli, produzione quanti-qualitativa di foraggio) cessa la produzione di latte in alpe e la monticazione è limitata al solo bestiame giovane asciutto. Dove, invece, la viabilità di accesso all'alpe consente un agevole trasporto di materiali, al fine di soddisfare gli elevati fabbisogni nutritivi delle vacche da latte ad alta produzione si somministrano, a volte anche largamente, mangimi e altri alimenti concentrati. La facilità di accesso alle alpi pascolive determina anche altre tendenze che provocano l'allontanamento dalle pratiche tradizionali e un impoverimento di valenze produttive ed extra-produttive: quella dell'abbandono della caseificazione sul posto a favore del trasporto del latte a valle, e quella del "pendolarismo" che, di notte, lascia le alpi pascolive (un tempo "presidiate" da una dozzina o più di persone) del tutto deserte. In questo senso gli investimenti in dotazioni strutturali ed infrastrutturali non evitano, ma anzi incoraggiano la progressiva atrofizzazione del sistema e ne riducono, come è evidente, le potenziali valenze turistiche ed educative». Sono argomenti interessantissimi e declinabili più in generale ad altri aspetti del mondo contadino delle Alpi - pensiamo solo agli agriturismi - ed alla necessità che, senza cedere a tentazioni nostalgiche e passatiste, si eviti però l'esatto contrario con la perdita delle radici, senza le quali tutto si sgonfia.