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13 set 2013

La dea della Giustizia

di Luciano Caveri

Capita di porsi degli interrogativi e di chiedersi, guardandosi allo specchio o trovandosi di fronte al giudizio indagatore dei propri figli, quando iniziano a giudicarti com'è umano che avvenga, quanto nel percorso della propria vita sia stato bene o male sulla bilancia. Mi ha sempre colpito, quando mi è capitato di entrare in un'aula di Tribunale, di vedere quell'immagine iconografia della bilancia, come simbolo della giustizia. La donna ritratta è la dea Diche, figlia di Zeus, che - nella complessa mitologia ellenica - sarebbe scesa sulla terra per diffondere il concetto di Giustizia tra i popoli. La dea è rappresentata appunto con una spada in una mano e una bilancia nell'altra, che stanno a simboleggiare, rispettivamente, l'inflessibilità della legge e la sua imparzialità. Facile capire il perché della bilancia, che pesa ogni oggetto - in questo caso, come osservavo, il bene e il male - e lo dovrebbe fare con lo stesso parametro e con un equilibrato metro di valutazione. E' questo quanto, in teoria, dovrebbe avvenire nell'applicazione delle leggi. Così ti frulla un pensiero che parte da un assunto: è un misto fra ammirazione e paura vedere quelli che programmano la loro vita al millimetro. Ne ho visti anche in politica, che fanno e disfano, nella certezza di arrivare dove vogliono, spesso come degli schiacciassi. Questo è il volto crudele di chi, come una sorta di droga e per l'ebbrezza del potere, usa persone e circostanze, come fanno le scimmie con rami e appigli per arrampicarsi sugli alberi. Al di là del dubbio che ciò possa avvenire sempre e davvero per l'alea che la sorte ci assegna ogni giorno, mi sono sempre attenuto al principio che una piccola parte degli eventi li puoi pilotare ragionevolmente, mentre il resto preminente è un puzzle complesso, i cui tasselli si incastrano non solo per la tua buona volontà. Questo vale per tutte le attività della nostra vita. Varrebbe la pena di seguire l'ammonimento di un frammento del filosofo greco Epitteto, che visse duemila anni fa: «Non devi adoperarti perché gli avvenimenti seguano il tuo desiderio, ma desiderarli così come avvengono, e la tua vita scorrerà serena». Questo forse è un estremismo - una sorta di "lasciarsi vivere", che puzza di indolenza - per cui preferisco l'immagine di una pista di sci, dove ti trovi a scendere, con tutte le influenze del caso dell'ambiente, ma una buona parte la giochi anche tu per poter scendere fino in fondo. Immagino che una scalata in parete potrebbe essere ancora più efficace, come immagine, per la maggior componente di rischio. In questo contesto, vale la pena - in quello spazio soggettivo - di "comportarsi bene", che si seguano religioni che prevedono comandamenti e precetti o che si abbia una visione laica dell'onestà di azioni e di comportamenti attraverso le regole del diritto? Questo è un quesito che ognuno, prima o poi, nella propria esistenza, si pone proprio di fronte a chi calpesta obblighi morali e norme giuridiche per "farsi strada" in quella logica del calcolo geometrico della propria affermazione. Quel che stupisce è che capita pure che certi comportamenti, impensabili in altri Paesi e in passato oggetto del severo giudizio della famosa "opinione pubblica", oggi suscitino qui da noi - in Italia e purtroppo anche in Valle d'Aosta - reazioni tiepide e pure, talvolta, una malcelata ammirazione. Un bel titolo sarebbe: "Rob' da matt'...".