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06 apr 2013

Ricordando Enzo Jannacci

di Luciano Caveri

Io penso che Enzo Jannacci sia stato un simbolo per tutti quelli della mia generazione. In un'Italia passata dal bel canto alla canzonetta era un cantautore (anche se sapeva essere interprete) - e questo era già una novità - ma soprattutto era un essere stralunato e fuori dalle righe, che tra l'altro pareva dalla lettura dei settimanali dell'epoca (a casa mia, oltre a "L'Espresso", c'erano i popolari "Gente" ed "Oggi") che fosse un tipo schizofrenico: medico nella vita e cantante-musicista nella vita parallela. Poi, in un'epoca in cui la mia compagnia della montagna era piena di milanesi, lui era un milanese che sdoganava il dialetto meneghino contro lo strapotere di una canzone napoletana e romana che invadeva tutto e costringeva a una resistenza contro certi stereotipi sudisti che a chi vive al Nord vanno stretti e non per ragioni politiche ma culturali. Infine era un campione di una canzone "di sinistra", ma che non era né ideologica, né inascoltabile, né pallosa, anzi divertente, ironica e talvolta pensosa e malinconica. In fondo quello Iannacci era arruffato, talvolta biascicante, "sballato" e direi con una musicalità che definirei - privo come sono di competenze musicale - disarmonica ma gradevolissima nel suo essere "borderline" rispetto ai rischi di stonatura. Ma quel che contava era il suo desiderio di essere controcorrente, non convenzionale, fuori da quel desiderio di piacere, ma interprete - come un funambolo in equilibrio sul filo - di "nonsense", di giochi di parole per sprofondare infine nell'abisso di un mondo di persone dolenti.

Io questa la so a memoria:
«Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale... Vengo anch'io? No tu no! Per vedere come stanno le bestie feroci e gridare "Aiuto aiuto è scappato il leone" e vedere di nascosto l'effetto che fa».

Sfido chiunque, se non giovanissimo, a dire di non averla cantata e di non aver pensato come fosse geniale quel «Vengo anch'io, no tu no», titolo del brano.

E quei ritratti improvvisi: «El purtava i scarp de tennis, el g'aveva du occ de bun l'era il prim a mena via, perche' l'era un barbun».

Oppure: «Vincenzina davanti alla fabbrica, Vincenzina vuol bene alla fabbrica, e non sa che la vita giù in fabbrica non c'è, se c'è com'è?»

O ancora: «Tatta tira tira tira tatta tera tera ta Era quasi verso sera se ero dietro, stavo andando che si è aperta la portiera è caduto giù l'Armando».

E, infine, come non citare: «Quelli che la notte di Natale scappano con l'amante dopo aver rubato il panettone ai bambini, oh yes! Intesi come figli, oh yes! Quelli che fanno l'amore in piedi convinti di essere in un "pied-a-ter", oh yes! Quelli, quelli che sono dentro nella merda fin qui, oh yes! Oh yes! Quelli che con una bella dormita passa tutto, anche il cancro, oh yes!».

Quel cancro, maledetto, che ce lo ha portato via.