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08 gen 2013

Dagli Challant all'autonomia

di Luciano Caveri

La celebre famiglia degli Challant è finita nel mio Natale per un oggetto d'artigianato-artistico di Ermanno Bonomi, avuto in regalo, e che riporta il motto della famiglia nella versione breve «tout est et n'est rien», che dovrebbe essere estensivamente «tout est monde et le monde n'est rien». Un calembour che alla fine suonò come funebre per una famiglia, estinta nel 1802, dopo poco meno di quattro secoli di una storia ricca di prestigio e di potere. Queste vicende umane davvero appassionanti e di cui buona parte dei castelli della Valle d'Aosta sono un'eredità straordinaria e concreta sono un esempio illuminante di come la storia sia utile perché certe vicende hanno un loro valore rappresentativo. Ci pensavo rispetto a quanto è stato nella parte principale della mia vita il tema dominante, qualunque ruolo abbia ricoperto in politica. Mi riferisco alla nostra autonomia speciale e al suo destino, che si appresta - nel 2015 - a compiere i settant'anni. Certo un periodo breve se confrontato ad altri cicli storici, ma molto significativo dal punto di vista politico e di quel "fil rouge" di desiderio di autogoverno che ha attraversato tutta la storia valdostana dalle origini ad oggi. Ammonisco ogni volta sul fatto - banale ma importante per non scadere nel ridicolo - che certi avvenimenti che hanno portato al regime autonomistico attuale non sono frutto di chissà quale determinismo o destino ineluttabile, ma ci sono stati molti bivi. Se in quelle circostanze la strada presa fosse stata un'altra, noi oggi non saremmo qui in queste circostanze. E la temperie degli ultimi anni della guerra e del secondo dopoguerra sono un caso esemplificativo di un gioco intellettuale del genere «se fosse», tipo «se ci fosse stato il plebiscito», «se i francesi non avessero lasciato la Valle d'Aosta», «se l'Italia avesse scelto il federalismo» e via attraverso scenari più o meno fantasiosi e sostanzialmente inutili. Quel che conta, semmai, è proprio usare l'esempio degli Challant e di quel loro motto per approcciare un tema che sarà fondamentale nelle discussione della doppietta ravvicinata fa elezioni politiche e quelle regionali. Davvero - come personalmente temo - l'attuale regime d'autonomia speciale è minacciato di una sua dissoluzione? Questo interrogativo si nutre di evidenze, che sono ben visibili, sia dentro che fuori dalla Valle d'Aosta e cioè una quotidiana e multiforme convergenza di critiche e di attacchi al nostro sistema autonomistico e alle sue ragioni fondanti. Sembra di essere seduti sulla riva di una spiaggia soggetta all'alta marea e stare lì, seduti sulla spiaggia, ad aspettare che il mare ti sommerga. Ho denunciato in questo senso una politica di questi ultimi anni troppo attendista e manovriera, che rende per altro grottesche certi appelli alla piazza delle ultime settimane. Personalmente ho sempre lavorato su di una difesa giuridica della nostra autonomia attraverso un'azione legislativa che può avere facili riscontri e lo stesso spero valga per le azioni più propriamente politiche dal carattere spesso offensivo e non solo difensivo. C'è stato pure qualche attimo, fuggito subito via, in cui ho creduto davvero che la nostra specialità potesse confluire in un disegno federalista, mentre oggi vedo solo un disegno centralista, che trova odiose le autonomie speciali, le loro funzioni e competenze, i trasferimenti finanziari, le specificità statutarie e via di questo passo. Credo che sia bene a questo punto sapere le posizioni di tutti a Roma come ad Aosta per evitare che certe discussioni, decisive per quanto potrebbe capitare, non somiglino in certi casi al gioco delle tre tavolette, in cui si perde di sicuro.