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09 ago 2012

I cicli dell'industria

di Luciano Caveri

Se i capannoni industriali potessero parlare restituirebbero in modo vivido il sovrapporsi delle esperienze che si sono succedute nel tempo. La riflessione appare ovvia pensando alle incredibili tribolazioni della "Verrès spa" che in queste ore chiude e si attende di conoscerne il futuro e lo stesso è purtroppo capitato di recente per lo stabilimento "Olivetti" di Arnad. Un déjà-vu, pesante per i lavoratori interessati, pensando proprio come esempio a quest'ultima fabbrica, nata come stabilimento tessile e chiusa per la crisi del settore o ricordando le attività, spesso sfortunate, che si sono sovrapposte nel grande complesso poco vicino e noto come "ex Sirca David" dal nome della fabbrica di cioccolato che sorse per poi sparire una cinquantina di anni fa. Oggi una parte ospita, per fortuna, quella "GPS Standard", azienda di punta e "mosca bianca" che andrebbe trattata come merita. Pensiamo ai destini della siderurgia e al più grande stabilimento della Valle: l'area "Cogne", dove da più di un secolo si sussegue una lunga storia industriale che ha interessato generazioni e generazioni e che è visibile persino nei segni dell'archeologia industriale. Doveva questa zona, città nella città, avere un duplice valore: il segno della resistenza di uno "zoccolo duro" di siderurgia, che si mantiene tenacemente fra mille difficoltà e, dall'altra, il simbolo di una re-indistruzionalizzazione, purtroppo non riuscita, esempio tangibile di questa difficoltà sarà la scelta spiazzante di costruire in zona una discoteca. Oppure come non citare l'area "Ilssa Viola" di Pont-Saint-Martin, cancellata dopo la crisi nel vero senso del termine, visto che - rasa al suolo la chiesetta residua della fabbrica - nulla resta delle vestigia del passato della produzione dell'acciaio. E lì i capannoni più recenti mostrano in modo tangibile gli alti e bassi di industrie passate e andate via e solo la "Thermoplay" è il caso di scuola di un industria familiare che funziona. Potrei continuare con storie dell'industria altrove, come a Châtillon, Morgex, Pollein, Saint-Marcel e via di questo passo. Quel che se ne ricaverebbe è che è naturale che vi siano cicli più o meno lunghi di vita di singole attività produttive che seguono i destini altalenanti delle loro produzioni e le fortune delle singole società. Fenomeni resi più complessi da un mondo sempre più globalizzato. Ma non ci si può arrendere, oggi come in passato, alla de-industrializzazione, anche se le rigide norme di concorrenza e i limiti agli aiuti di Stato hanno spuntato le armi di una Regione autonoma come la nostra. Ma appunto non ci si deve né rassegnare né far finta di niente.