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11 ott 2011

Le cose cambiano

di Luciano Caveri

La storia dell’alimentazione è un argomento appassionante. Mi è capitato più volte di citare, nella evidente banalità della considerazione, come la polenta (dunque la farina di mais) e la patata siano oggi capisaldi della nostra cucina. Ben sapendo, però, che questi prodotti, giunti dall’America, siano arrivati tardivamente nelle nostre vallate, prima il mais nel 18esimo secolo e poi la patata (solo attorno agli anni Settanta dello stesso secolo). Non ci trovo niente di strano. Le cose cambiano e se oggi invitassimo a tavola un valdostano di un secolo o di due secoli fa resterebbe stupito dei nostri usi e costumi alimentari e viceversa se dovessimo, con una macchina del tempo, finire al loro desco saremmo noi ad essere stupiti. Dovessi pensare all’elemento più marcante direi che è la nostra capacità di conservazione dei cibi grazie certamente al frigorifero ma anche alle formule di impacchettamento, ma aggiungerei anche la varietà di prodotti che attraversano il mondo e che trasformano i nostri ipermercati in una sorta di "Paese della Cuccagna" per eventuali visitatori dal passato. E fossimo noi a tornare indietro? Penso che saremmo colpiti dalla stagionalità dei prodotti, ma anche dall'ingegnosità del loro uso nei mesi successivi e dalla logica di autosufficienza di un sistema nel quale nulla andava perduto e ogni prodotto veniva sfruttato al massimo delle possibilità. Esemplare sarebbe piombare, attraversando le epoche, in quella media e bassa Valle che campava attorno alla cultura del castagno, visto che questa è la stagione, come si vede dalla livrea autunnale della nostra Valle. Dal legname ai frutti freschi, dalle foglie alla farina, dal miele alle castagne secche. Si trattava di una cultura tutto tondo, ormai estinta e vi devo dire dello stupore dei miei figli, in una gita autunnale nelle zone di origine della loro mamma (una Martinet di Pontboset) in mezzo a castagneti oggi abbandonati. Raccontare loro del "ciclo" di produzione, comprese le casette ("grehe" o "gra", secondo i patois) per l'essiccazione, è come parlare di civiltà remote. Ed invece è un mondo appena dietro l’angolo, che si è estinto nel breve volgere di pochi decenni. Non bisogna piangere sterilmente sul passato, ma non si può neanche dimenticare. Esiste un dovere della memoria.