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07 ago 2011

L'Europa in un calzino

di Luciano Caveri

Consentitemi (l'ho fatto e lo farò), una tantum, di occuparmi di una pinzillacchera, neologismo coniato da Totò per intendere una cosa di poco conto. Ogni tanto lo faccio per evitare di occuparmi solo di quei temi ponderosi e preoccupanti che restano sempre nei miei pensieri e chi legge con continuità lo sa bene, ma un poco di leggerezza tonifica, perché non bisogna mai troppo prendersi sul serio. Solo con gli anni ho capito perché mio padre usasse spesso il sorriso come autoterapia contro un suo spleen e lo facesse anche per il piacere di regalare un sorriso agli altri. Come diceva l'Abbé Pierre: "Un sourire coûte moins cher que l'électricité, mais donne autant de lumière". Ecco la baggianata sdrammatizzante: nell'esperienza europea, senza pensare di essere un arbiter elegantiae, quel che colpisce è l'affermarsi - nel formale e nell'informale - del famigerato "calzino corto".  Tant'è che mi è capitato qualche emergenza da calzino o qualche curiosità da shopping in qualche Paese europeo e constatare il virus del calzino corto si diffonde. In un'Europa unita che ha spesso maniacalmente studiato particolari minimi della vita dei cittadini europei, che ci sia un'unione d'intenti su questo piccolo segno di civiltà del "calzino lungo" (fatti salvi i "fantasmini" estivi). Un giorno, sempre per svago, ci occuperemo dell'integrazione europea anche attraverso la diffusione, dove ignorato, del bidè o meglio bidet, visto che la parola francese viene da un piccolo cavallo normanno e dal modo di cavalcare l'oggetto che serve, invece, per elementari esigenze igieniche. Ma il mistero della sua assenza nei bagni di molti Paesi europei è avvincente come un giallo.